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L’Iliade, la panchina e l’addio: perché Nicolussi Caviglia non ha mai convinto Firenze

di Andrea Giannattasio

È finita prima ancora di cominciare davvero. L’avventura di Hans Nicolussi Caviglia alla Fiorentina è già ai titoli di coda e non serve attendere comunicati ufficiali per capirlo: i segnali, da settimane, sono sotto gli occhi di tutti. Arrivato a Firenze quasi allo scoccare del gong del calciomercato estivo, Nicolussi Caviglia è sempre sembrato un corpo estraneo. Né Stefano Pioli prima né Paolo Vanoli poi sono riusciti a trovargli una collocazione credibile all’interno dell’impianto di gioco viola. Un problema tattico, certo, ma anche di percezione: quella sensazione costante di essere una soluzione di ripiego, più che una reale risorsa tecnica. E forse non è un caso. Se fino agli ultimi giorni di agosto nessuno si era davvero mosso per un centrocampista di proprietà del Venezia - reduce peraltro da una retrocessione macchiata da un suo errore decisivo all’ultima giornata - un motivo probabilmente c’era. Firenze non ha fatto eccezione: l’operazione è nata più per incastri di mercato che per una reale esigenza tecnica. E il campo lo ha confermato.

Una formula contorta e un epilogo annunciato
A rendere il tutto ancora più emblematico è stata la formula concordata con il Venezia: prestito oneroso da 1 milione di euro, con obbligo di riscatto fissato a 7 milioni al raggiungimento del 50% delle potenziali presenze stagionali, ciascuna da almeno 45 minuti. Una costruzione quasi cervellotica, che presupponeva un utilizzo continuo mai realmente messo in preventivo. L’obbligo non scatterà. E anzi, le strade sono già pronte a separarsi, anche perché sul classe 2000 si è mosso con decisione il Cagliari: sul tavolo dei lagunari un prestito oneroso da 500mila euro e un diritto di riscatto tra i 4 e i 5 milioni. Un contesto forse più adatto per rilanciarsi.

Tra Iliade e panchina: cosa resta del passaggio in viola
Cosa rimane, dunque, dell’esperienza fiorentina di Nicolussi Caviglia? Più il contorno che la sostanza. Resta il suo modo insolito di presentarsi alla stampa a settembre, parlando di cultura e testi classici, con la celebre ammissione di star leggendo l’Iliade: un episodio che lo aveva reso immediatamente riconoscibile in un mondo spesso monocorde. Per il resto, parlano i numeri. 961 minuti complessivi, zero gol, un solo assist - quello per Kean contro la Roma - e cinque delle ultime nove gare stagionali, tra Serie A e Conference, vissute interamente dalla panchina. Troppo poco per lasciare traccia, abbastanza per certificare un’incompatibilità mai risolta.


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