IL VALORE DEI MINUTI di Marco Bucciantini
“Ci si vergogna solo se si ruba”, dice Mourinho rispondendo a Rossella Sensi, che la vergogna nemmeno sa cos'è, ma le cose sono più complesse. C'è chi ruba e non si vergogna, anzi continua a rubare e a farsi regalare case. C'è chi a rubare nemmeno ci pensa, vive in un altro modo, si vergogna per cose più spicciole, per essere mancato quando serviva, per non essere stati all'altezza di una prova importante, per aver mentito, per aver sbagliato. La vergogna è un'emozione strana, soggettiva. Qui invece si deve collettivizzare tutto. Le colpe diventano sempre generali e generazionali.
“Andate a lavorare”, si canta ai giocatori. “Il calcio italiano fa pena”, si dice dopo Lazio-Inter.
A me fa pena la Lazio, l'ambiente romano che costringe a queste considerazioni, e che dopo il tifo contro gli altri – cosa già misera – ha inventato il tifo contro se stessi, pratica sadomaso.
E il calcio mi piace a tutte le latitudini, in Spagna si gioca meglio, la destrezza sovrasta la fisicità, in Inghilterra è il contrario ma spesso escono fuori incontri intensi, in Italia si vedono cose diseguali ma Miccoli e Cassano dell'ultimo mese sono qualcosa di romantico da ricordare. Parlo di loro perché della Fiorentina non so cosa dire, sennò che c'è un andazzo perdente, appunto, un amalgama di mediocrità e di colpe. “Andate a lavorare”, allora, eppure qualcuno lavora, ma è stanco. Qualcun altro è zoppo, qualcuno troppo giovane e qualcuno troppo vecchio. E invece di offrire una macedonia di frutti diversi è come se c'avessero spruzzato sopra una panna rancida: sembra tutto uguale e insipido.
Bisogna distinguersi. Lottare per togliersi una colpa, una vergogna di dosso. Provare un dribbling per inventarsi un finale differente. Resta poco: 180 minuti che sono inutili solo per chi non sa di sport, per chi misura tutto in centimetri e in soldi. Questi minuti hanno un altro valore. Niente è inutile, nessuna partita passa invano. Siano spietati i dirigenti e l'allenatore quando faranno la conta, a fine anno. Pesino la classe, la prospettiva e anche il temperamento. Quello manca: il contrasto vinto, la voglia di rischiare nel momento caldo. La sensibilità agonistica, il pallone sporco che diventa buono da attaccare. Misuriamoli così, i giocatori. Allora bastano pochi minuti per capire di che pasta sono fatti, anche a fine stagione. Applaudiamo e cantiamo per chi ci crede ancora e che gli altri, chi giochicchia, chi aspetta il mondiale, o l'estate, o l'offerta giusta, e magari ci imbroglia con un gol, con un distillato di talento, ecco, che provi vergogna.
Ps.: Eppoi voglio vedere Ljajic. Cioé, voglio vedere qualcosa che non ho ancora visto, voglio finire il campionato con un gol giovane, con una promessa di qualcosa. Mi basta un tiro da fuori area di questo ragazzo, una palla che corre tesa verso la porta. Un'immagine da tenersi a mente, nei mesi estivi, per togliersi dalla testa il pencolare di una ciurma che ricorda un esercito sconfitto, che torna a casa a testa bassa, deluso così tanto da non avere fierezza, da aver dimenticato battaglie esaltanti, vinte con merito, ed è una bruttissima immagine.