UNA STORIA MIGLIORE di Marco Bucciantini
È soltanto un ragazzo che gioca a calcio. Eppure. È Jovetic. Lo guardi fintare una partenza sghemba, e puntare verso l'area e senti tornare da lontano la nostalgia di un Baggio. Vedi apparire quella cascata di riccioli fanciulli fra i difensori, a raccogliere un traversone per centravanti tosti, e avvitarsi con l'istinto del calciatore totale. E senti arrivare la naturalezza dei più grandi e non faccio i nomi per pudore, ma immaginateli. Ha imparato a leggere le situazioni d'attacco, cosa che fino allo scorso anno faceva con giovanili inciampi. Adesso serve i compagni al momento giusto, trasforma i terzini in goleador, asseconda i movimenti di Vargas e Marchionni. Deve imparare a “legare” meglio con Gilardino, ma lo farà.
Questo è Jovetic e io ho promesso ai ragazzi del sito che avrei parlato di Della Valle e Prandelli. E di questo sto parlando, sissignori. Non mi metto mica a semantizzare comunicati stampa scritti con poco cuore, per troppo amore, dice il mister. Ti amo, ma dimmelo prima tu: questo è il livello e io credo che tutti loro meritino di meglio, e al meglio ci hanno piacevolmente abituato. E poi non ci credo molto: litigare è naturale come dare un calcio al pallone. Consumarsi in attriti dovuti alla gestione di un'azienda complessa è cosa della vita. Semmai in tutta la vicenda è mancato il calore della proprietà verso Prandelli (che lo meritava), e il calore della città verso i Della Valle (che lo meritavano). Ma questa è forma. La sostanza la capiremo più avanti e bisognerebbe mirare a quella, per dormire più tranquilli. Da anni, a Firenze, viviamo di sostanza. Che sappiamo anche circondare di parole misurate, di bilanci in ordine, di ambizioni civili (le curve non violente, l'abbattimento delle barriere fra i tifosi). Se qualcuno trova pidocchioso tutto questo, e ci vede un annuncio di ridimensionamento, vada all'inferno, e se poi ha ragione lui scendo a fargli compagnia. Tendo a fidarmi di chi mi porta otto anni di risultati in crescendo.
Dico Jovetic e potrei fare altri nomi (Montolivo, per esempio, ma lo amo troppo e non sarei credibile. Oppure Ljajic, vedrete). Jovetic, dunque. Che non capisci cosa fa, dov'è. E poi lo impari in un attimo, mentre organizza un dribbling, o azzarda un tiro sfacciato, e ci trovi tutto il calcio del mondo, quello veloce e moderno e quello infinito nelle sfide per strada. Estri in bianco e nero e scatti perfetti per l'era di Sky. Dentro quei riccioli sono annidati milioni di dribbling, e ci siamo noi con le nostre voglie, e centinaia di bellissimi gol, che vedremo, e anni di fantasie castrate, e c'è l'invidia di tutti quelli che non ce l'hanno, a Jovetic (ho sentito qualcuno che invidiava Pastore al Palermo e credetemi, volevo piangere).
Jovetic, allora. Lo indicò Corvino a Prandelli, “guarda, è bravo”. Era una grossa spesa, Corvino la volle condividere con l'allenatore. La condivisero. C'erano gli squadroni d'Europa che cominciavano ad annusare il ragazzo, i Della Valle dovevano pagare molto, moltissimo per un 18enne, e farlo in fretta e lo fecero. Forse mi sono spiegato e forse no. Forse non arriveremo quarti quest'anno e non vinceremo nemmeno la Coppa Italia. O forse sì. Può anche non essere importante, anzi, spero che non lo sia. Vorrei vedere ancora quei riccioli neri (e vorrei vedere i campini, e la Cittadella: serve tutto, e più che tutto servono queste facce). Ci sono molte possibilità per questa storia e non so come finirà. Ma in giro non ne ho sentite di migliori.