.

AMMETTERE GLI ERRORI È SINTOMO DI INTELLIGENZA. LA SVOLTA È NATA DA UNA TRIPLA RETROMARCIA SU BIRAGHI, MODULO E ADLI. BRAVO PALLADINO, IN PASSATO NON C'ERA MAI STATA QUESTA UMILTÀ. ORA AVANTI CON LE GERARCHIE (ANCHE SUI RIGORI)

di Angelo Giorgetti

Ripartire dai calcoli sbagliati, dimostrare che l'amore per la squadra è decisamente superiore rispetto all'amore per se stessi e _ in questo caso _ all'impraticabile idea del 3-4-2-1 con Biraghi nei tre centrali, senza un regista per confezionare le saette verticali dopo la riconquista del pallone: avendo criticato Palladino per un'insistenza che lo stava portando a sbattere nel muro, siamo a concedergli l'onore di un passo indietro, anzi due o tre, verso una logica di ammissione e ripensamento che lo ha costretto comunque ad affrontare scelte complicate. 

La prima: escludere l'influente capitano Biraghi, che è entrato nell'ultimo quarto d'ora contro il Milan per giocare finalmente nella sua posizione (sulla fascia) in aiuto a Gosens in un momento complicato.

La seconda: ammainare il proprio modulo di riferimento, svolta mai semplice per un giovane allenatore preceduto dal soffio glamour della predestinazione, o quasi, essendo stato unto da Berlusconi prima del balzo cinematografico in serie A (all'esordio in panchina vittoria contro la Juve).

La terza: promuovere Adli in un centrocampo a 3, scelta che francamente sembrava ovvia fin dall'inizio, ma sommata alle altre faceva parte per Palladino di un robusto pacchetto di revisione, una specie di riduzione del proprio credo basato sul doppio mediano. Che poi, uno ignorante di calcio pensa: se hai giocatori forti li metti in campo, oppure no? Perché la rotazione è logica, ma una spina dorsale che risponde ai principi di gioco sarebbe augurabile fin da subito. 

Contro il Milan abbiamo visto una formazione sensata, la stessa che più o meno tutti gli appassionati di calcio viola si erano augurati di incrociare, un giorno, per cominciare una stagione diversa. Certo, se poi De Gea si mette a fare il marziano è tutto più semplice... E se Gud di controbalzo spara un tracciante che sfonda la rete e umilia i tempi di reazione seppur rinomati di Maignan... Chi fa la differenza migliora la confezione del prodotto, ma alle spalle dei migliori hanno lavorato bene tutti: possiamo dire che per la prima volta abbiamo visto le basi di una nuova identità? 

La Fiorentina nella sua interezza ha finalmente mostrato un'idea, una strada da seguire, vorremmo dire una sicurezza di percorso se per definirlo davvero tale non servissero altre riprove e la pazienza di accompagnare la crescita per un tempio almeno medio, se non lungo. Quindi: una squadra compatta, racchiusa in un 4-4-2 nella fase di contenimento, ma pronta a ripartire come una batteria di gatti, una lanciatrice di coltelli con Adli pronto a disegnare lunghe lame rasoterra verticali (solo lui è capace di questo). Ci siamo chiesti spesso perché l'ex Milan restasse in panchina, invocando anche da qui il suo utilizzo, ma probabilmente questo faceva parte di un ambientamento che dall'esterno non potevamo conoscere.

E poi il centrocampo a tre, con le qualità in riconquista di Bove concentrate in una parte accettabile di campo e non più nella prateria del rattoppo furioso, in spazi ben più ampi di quelli previsti dalla marcatura a uomo del format viola. Benefici anche per gli altri, compresi Cataldi e Colpani, più concentrati in compiti di chiusura e ripartenza. In sostanza, più equilibrio e un'idea da sviluppare (che magari potrà essere aggiustata contro le squadre più deboli).

Il calcio di Palladino, dunque, a lungo inespresso e confuso, senza l'aggiunta che Italiano era riuscito più chiaramente a innescare, cioè l'adrenalina di squadra, qualcosa insomma che facesse esclamare: sta giocando la Fiorentina, questa la riconosco. Nel bene e poi nel male. Ma insomma, era qualcosa di diverso rispetto a prima, si vedeva la mano dell'allenatore. Con Palladino no. 

Fino a quando _ evviva l'umiltà, che non è un limite ma un dono _ il giovane tecnico ha deciso di tornare sui propri passi per rendere scattante e nello stesso tempo fluida, applicabile l'idea di gioco che aveva in testa. Ovvero, spazi compressi con un baricentro mediamente bassino e largo alla fantasia veloce, con pochi passaggi e tanto cinismo. Per dirigere il tutto ci voleva la velocità di pensiero di Adli, che non deve passare da eroe ma insomma, uno come lui fa comodo eccome in una squadra che gioca così, cercando di accendersi subito dopo aver rubato palla. Sicché il gol di Gudmundsson è stato la massima goduria per chi, come noi, apprezza il cinismo del calcio fino a essere posseduto dalla ricerca di concretezza, un killeraggio raggiunto con poche mosse: lancio lungo, stop e assist corto di Kean, sfrombolata in porta di Gud. Requiem per i trecentomila passaggi orizzontali, o anche di più, figli della teoria del possesso. Ma di cosa, esattamente, se poi nessuno fa gol?

Qualcuno dirà: la sosta proprio ora? Noi siamo fra quelli che la accolgono con rispetto, considerata la nuova piega presa dalla stagione immaginiamo che Palladino metta a fuoco altri tasselli anche sulla spinta di un rinnovato carisma dentro lo spogliatoio. Per esempio il tassello della gerarchia dei rigoristi, perché il balletto dell''io me la sento' sembra poco praticabile. Vediamo, un passo alla volta. La strada sembra quella giusta e diciamolo una volta per tutte: meno male che le ripartenze dal basso fanno parte del passato, il calcio vive di giochi di prestigio verticali e forse ci divertiremo a vederli.