GIOCATORI, TENETEVI STRETTO IL PARAFULMINI
La fine del tunnel resta ancora un miraggio lontano e la tanto attesa luce, dopo un anno e mezzo di inquieta peregrinazione, è ben lungi dall'essere anche soltanto percepibile. Un limbo nel quale la Fiorentina è stata risucchiata di colpo due anni addietro e dal quale non riesce più a venire fuori. E i novanta minuti di Cesena, se ancora ce ne fosse bisogno, ne sono stati la prova tangibile.
Dispiace ammetterlo, ma questa Viola avanza ancora per tentativi, alla cieca, inciampando sugli ostacoli più banali e tentando invano di rialzarsi dopo ogni scivolone. Domenica dopo domenica, senza soluzione di continuità. Prima con la Lazio in casa e ancora una volta a Cesena, contro l'ultima della classe. L'ennesimo capitolo della “saga Mihajlovic” sulla panchina viola. Un'avventura nata male e proseguita peggio tra mille vicissitudini, che adesso, dopo quest'ultima defaillance, rischia di finire con un disastroso fallimento e molto prima di quanto prospettato ad inizio stagione. Un vero peccato, perché alla luce delle occasioni gettate al vento in questa prima parte di campionato la Fiorentina avrebbe potuto trovarsi in una situazione molto diversa e indiscutibilmente più agiata. E invece le cose sono andate in tutt'altra direzione, tanto che adesso il rammarico, notoriamente il peggior compagno di qualsiasi viaggiatore, è tornato ad essere una parola di uso comune in casa Fiorentina.
Eppure la scorsa domenica molte cose sarebbero dovute andare diversamente e di questo tutti, nessuno escluso, ne erano consapevoli. Cesena, usciti da due settimane di polemica, poteva e doveva essere il check point dal quale ripartire. La circostanza perfetta nel momento di massimo bisogno. L'occasione per Sinisa di mettere a tacere le malelingue dimostrando sul campo di tenere ben salde le redini dello spogliatoio, di saperlo gestire e motivare a dovere, smentendo una volta per tutte quanti lo avevano prematuramente attaccato. Ma niente di tutto questo è accaduto. Anzi, a dirla tutta, la Fiorentina vista al Manuzzi, se possibile, è apparsa ancora più incerta che mai ed ha dato vita ad uno spettacolo mediocre e inaccettabile. Giocatori spenti al limite della svogliatezza, gambe leggere, nessuna reazione e un senso di rassegnazione percepibile anche soltanto osservando le facce dei giocatori. Ma di chi è la colpa di tutto questo? Di Mihajlovic? Ancora di Mihajlovic? Sempre e solo di Mihajlovic? Fosse così, francamente, sarebbe un po' riduttivo per non dire addirittura banale.
Dopo aver assistito, con fatica, alla magra prestazione offerta dalla squadra in quel di Cesena appare quasi scontato che il problema di questa Fiorentina non sia identificabile con la persona di Mihajlovic. O meglio, non soltanto in lui. L'assenza pressoché totale di un'idea di gioco e le difficoltà palesate nella gestione delle partite sono indubbiamente responsabilità imputabili al tecnico, ma oltre a questo la Fiorentina si è rivelata, fino a questo momento, squadra di poca personalità. Qui la sottile linea di confine esistente tra singole responsabilità e responsabilità collettive non può che essere valicata. E di questo, adesso, deve risponderne anche e soprattutto la squadra nel suo complesso.
Difficile infatti immaginare una Fiorentina peggiore di quella vista domenica scorsa. Svogliata, imprecisa, confusionaria e mai realmente in partita nel computo di tutti i novanta minuti di gioco. Tutte considerazioni che stonano se si pensa agli sforzi economici fatti dalla società in sede di mercato, al blasone di una rosa di professionisti molto ben pagata (la settima come monte ingaggi in Serie A), e composta da presunti giocatori di talento che dovrebbero, qui il condizionale è d'obbligo, dare quel surplus necessario a far riemergere la Fiorentina dalla mediocrità nella quale è sprofondata negli ultimi due anni.
Ecco allora che il solo Mihajlovic sul banco degli imputati non può essere una condizione accettabile. Che dire infatti di Montolivo, scomparso ingiustificatamente negli ultimi 180 minuti nonostante la fiducia totale accordatagli da Miha. Che dire di questo Vargas, dedito più ai bagordi notturni che alla sana frequentazione del campo (a patto che non si parli di Perù) o dei vari Cerci, Behrami e Gamberini che a turno, di fronte ad un microfono, si sono prodigati in difesa del proprio allenatore, per poi lasciarlo solo nel momento cruciale.
Dov'è finita la vera riconoscenza? Verrebbe da chiedersi col sorriso sulle labbra, reduci da due partite giocate svagatamente e senza mordente.
Forse la risposta è più ovvia di quanto non si pensi: Mihajlovic e la squadra hanno intrapreso strade diverse. Se così fosse, e in tutta onestà non sembrano esserci altre spiegazioni plausibili, sarebbe bene chiarirlo subito. Gettando la maschera della demagogia spicciola prima di ritrovarsi nuovamente con l'acqua alla gola e rischiare di esasperare ulteriormente una piazza stanca, ma sempre e comunque presente (e pagante).
Ma tant'è, responsabilità a parte, ad ammutinamento consumato e non potendo sostituire la rosa sarebbe forse meglio riflettere se non sia il caso di invertire la rotta il prima possibile e con essa il timoniere. Anche perché farlo adesso darebbe dimostrazione di lungimiranza. E nondimeno permetterebbe alla Fiorentina di correggere in corsa una tendenza che silenziosamente sta prendendo una piega pericolosa, già vista nel corso di tutta l'ultima deprimente stagione.
Cristiano Puccetti
direttore sport di Lady Radio e QuotidianoViola