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I NUMERI INELUTTABILI, IL PESSIMISMO E IL FASTIDIO. LE COPPE? UNA PIA SPERANZA. E ALLORA CHE FARE? PENSIAMO AL FUTURO

di Stefano Prizio

numeri della Fiorentina, soprattutto in campionato, stanno lì come il dito accusatore che ci riporta alla realtà, numeri brutti, ormai difficilmente modificabili, salvo impronosticabili e immotivati suicidi di massa  delle squadre che stanno davanti ai viola in classifica, una specie di cospirazione in favore dei gigliati che neppure il più sanfedista tifoso o governativo cronista osa preconizzare in pubblico. Perciò nell’ambiente viola c’è pessimismo e fastidio, a tratti rassegnazione.

Anche perché il ragionamento rifugio di puntare sulle coppe, la Coppa Italia e la Conference League, competizioni dove la Fiorentina è ancora in piena corsa, è una cogitazione con ben poco raziocinio ed eccessiva dose di pia speranza, un po’ come quel tale che oberato dai debiti spende gli ultimi soldi per comprare biglietti della lotteria o entra in un casinò affermando che ogni sua speranza risiede nel puntare tutto sul tale numero della roulette, la propensione all’azzardo non è cosa buona, specialmente nel calcio dove i numeri del campo s’incaricano sempre di trasformare ogni illusione in una delusione, infatti non si capisce perché una squadra come la Fiorentina che ha zoppicato finora in campionato, per altro segnando pochissimi gol, dovrebbe per forza far sfracelli nelle coppe o addirittura vincere una di quelle competizioni, come dicono alcuni barbudos che fanno invidia ai guerriglieri che entrarono all’Avana durante la rivoluzione castrista.

Di grazia, tutto può succedere e non saremo noi a porre limiti alla Provvidenza, ma una cosa è la speranza che non bisogna mai perdere, un’altra è la pretesa che il mondo s’adatti ai nostri desideri. Specie quando si è fatto poco o nulla per correggere i problemi, sanare le ferite, rinforzare le debolezze, come ad esempio l’asfittica resa sotto porta degli attaccanti della Fiorentina.

E ancora, per correggere questo record negativo, sterzare, mutare rotta e magari vincere una delle coppe restano 11 giorni, poiché la sessione invernale del calciomercato termina il 31 gennaio, è pur vero che Iddio fece il mondo in meno tempo. E attenzione, poiché sterzare e mutare rotta non significa prendere all’ultimo tuffo qualche attaccantucolo da paranza, razzumaglia triste come quei pesciolini poco nobili che tutti scansano nel fritto. Prendiamo il Napoli che di certo ha ben altre ambizioni rispetto alla Fiorentina, anche se i 200 milioni di euro di patrimonio del suo proprietario De Laurentiis (fonte Forbes) sfigurano dinanzi agli 8 miliardi di Commisso. Ecco, il Napoli in attacco abbonda a partire da Osimenh, che qualche buontempone in rete si chiedeva se somigliasse più a Jovic o a Cabral, ma dietro al bomber ha Raspadori pagato in pratica 30 milioni, e in terza istanza un dignitosissimo Simeone.

La Fiorentina, pie speranze a parte, e clamorose botte di fortuna (che non sono nel dna né nella storia del club) non ha granchè da chiedere ad un’altra stagione gettata un po’ al vento: dopo l’arrivo di Commisso, al netto di proclami tonitruanti, le prime due annate furono negative, alla terza la squadra è arrivata settima, malgrado l’inopinato smontaggio dell’undici con la vendita del capocannoniere del torneo a gennaio, il quarto anno è questo, dove si è deciso di partire con un attacco castrato dalla mancata sostituzione di Vlahovic, un centrocampo pesantemente orfano del suo fulcro Torreira e una difesa dove si è fatta la scelta geniale di cambiare Odriozola con Dodò. Il quinto anno, ovvero il prossimo, andrebbe programmato per tempo, magari dando in mano il pallino a dirigenti che abbiano già mostrato altrove le loro capacità calcistiche  e che riscuotano la fiducia della città sportiva oltre che della proprietà che ci mette i soldi.

In sintesi, i numeri son lì, la squadra è molto migliorabile, la società pure. Ca va sans dire che tutte le competizioni vanno onorate, ma un club serio ed un ambiente maturo  pensano e lavorano sull’anno venturo. Il futuro inizia oggi, non domani, disse San Giovanni Paolo II.