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IL DERBY DEL CUORE DI CORVINO: HA RESO FELICI DELLA VALLE E COMMISSO. VEDIAMO SE LA COPPA HA MIGLIORATO I VIOLA. A LECCE NON SI SCHERZA: CLASSIFICA DELICATA. DA JOVIC ASPETTIAMO UN ALTRO SEGNALE

di Mario Tenerani

Gli incroci del destino possono far bene, male, sicuramente riflettere. Quando il computer della serie A ha elaborato Lecce-Fiorentina alla decima giornata, la mente è corsa subito ai principali ex della sfida: l’allenatore Marco Baroni, il dirigente Sandro Mencucci e il diesse Pantaleo Corvino, il demiurgo di anni bellissimi con i Della Valle, nella prima repubblica, e un po’ meno nella seconda, preludio alla cessione della società. 
Baroni, allenatore del Lecce, classe ’63, cittadino di Tavarnuzze, è figlio del vivaio viola.

Tutta la trafila ed esordio a Milano, in una stagione non banale, l’’81/’82, quasi alla fine: era il 2 maggio, minuto 86 di Inter-Fiorentina (gara finita poi 1-1), decisiva per lo scudetto che poi sarebbe stato scippato all’ultima giornata dalla Juventus. Baroni entrò in campo al posto di Casagrande e sugli sviluppi di un corner sfiorò la rete. Chissà come sarebbe finita quell’anno se Marco, 19enne col cuore viola in tumulto, l’avesse schiaffata in rete quella palla. Purtroppo la storia non si riscrive, si può solo raccontare. Fu l’unica presenza di quella stagione, che gli valse però il titolo consolatorio di vice-campione d’Italia.

A Cagliari, in quel maledetto 16 maggio, Baroni era aggregato alla prima squadra, forte di quel debutto a San Siro due settimane prima. All’hotel Panorama dormì in camera con un senatore, Andrea Orlandini. La domenica pomeriggio andò in tribuna seduto accanto a Eraldo Pecci, purtroppo squalificato. Gli altri in campo e in panchina, a quei tempi non c’erano le rose extra large. Come molti “canterani” viola il destino di Baroni si materializzò altrove, lontano da Tavarnuzze e dal Comunale di Campo di Marte. Baroni era forte come difensore, lasciarlo partire fu un grande errore e Marco, girovagando per l’Italia, nella primavera ’90 sublimò una bellissima carriera con un colpo di testa storico, quello che regalò il secondo, e per adesso ultimo, scudetto al Napoli. Il suo capitano era Maradona.

Sandro Mencucci, amministratore delegato del Lecce, svolge lo stesso ruolo dei suoi anni fiorentini. Anche lui come Baroni nato sotto il Cupolone, entrò con i Della Valle nella Florentia Viola, estate 2002, quando le macerie del fallimento fumavano ancora. Faceva il commercialista e diventò nella Fiorentina l’uomo dei contratti e dei regolamenti, federali e Uefa. E’ stato anche il primo presidente della Fiorentina al femminile, ideatore di un progetto pilota in Italia.

E’ rimasto fino all’ultimo, per 17 anni, nella Fiorentina. Poi un’esperienza in Inghilterra e quindi lo sbarco a Lecce da Corvino, manager col quale aveva legato in modo indissolubile. Anche per lui sarà un lunedì molto particolare. 
Se per Baroni e Mencucci le emozioni non mancheranno, per Pantaleo sarà una storia più complicata. Una sorta di derby del cuore: da una parte la sua terra, il Salento, da dove è partito e poi tornato, dall’altra la tappa più importante della sua lunga carriera, la Fiorentina. Dai campi sterrati del Meridione più duro alla Champions League, all’Anfield Road, in quella magica notte del dicembre 2009, quando i viola disintegrarono il Liverpool. 
Nel mezzo c’è la storia di Pantaleo, del suo carattere burbero e permaloso, ma pieno di calcio, quello vero. Corvino può essere criticato come tutti, ma non gli si può negare una profonda competenza calcistica e un fiuto nello scovare giovane talenti, prerogativa di pochi

Interpreta la figura del direttore generale in modo totalizzante e forse fuori dal tempo. Come lui in giro ce ne sono rimasti pochissimi, Corvino è l’ultimo dei mohicani. Oggi i direttori sportivi sono pressoché svuotati della loro essenza, comandano procuratori e presidenti. Oltre ad una pletora di improvvisati e faccendieri. C’è chi non riconosce un destro da un mancino. Corvino può lavorare in questo modo perché il Lecce è casa sua ed il presidente, un galantuomo, fa l’avvocato. Corvino è un padre-padrone, coi suo pregi e suoi difetti. Ed un merito: ha fatto sempre guadagnare le società per cui ha lavorato.

A Firenze è stato il primo a saltare, poche ore dopo l’insediamento della nuova proprietà. Uno scontro epico col nuovo direttore generale viola avvenuto all’hotel Savoy: chi era presente racconta di urla a rischio inquinamento acustico. Barone e Corvino, una roba da ring. Discussero animatamente della chiusura del contratto in essere di Corvino. Non avrebbero potuto parlare di altro perché Commisso voleva voltare pagina col passato e Corvino non avrebbe mai collaborato con una Fiorentina senza i Della Valle, famiglia con la quale il legame era diventato strettissimo. Un matrimonio impossibile da realizzare anche se paradossalmente, e questo è l’aspetto grottesco della vicenda, Corvino sarebbe stato il manager più adatto per adottare la politica della nuova Fiorentina di Commisso: plusvalenze come stella polare, giovani di 22-23 da acquistare, valorizzare e poi dopo qualche anno piazzare sul mercato al miglior offerente. In pratica, la storia di Corvino: lui ha sempre fatto così e per altro lo ha fatto benissimo.

L’identikit perfetto per avere introiti alti e non rimetterci sul piano tecnico. Ma in qualche modo Corvino, dopo aver fatto incassare tanto alla gestione Della Valle - la perla resta la cessione di Felipe Melo (pagato 8) a 25 milioni alla Juventus - ha dato indirettamente una grossa mano anche alla gestione Commisso. Vlahovic (preso a circa 1,5 milioni) ha portato 80 milioni nella casse viola. Veretout ha fruttato 17 milioni (preso a 8), Simeone 16 e Lafont 8. Ci sarebbe anche Chiesa: arrivato bambino dalla Settignanese, allevato in quella Fiorentina e alla fine alla Juve costato 60 milioni. Circa 180 milioni di cessioni, figlie del suo intuito, più o meno quanto Rocco Commisso ha speso per rilevare il club dalla famiglia Della Valle. Nel percorso di Corvino a Firenze ci sono stati anche tanti acquisti di secondo piano che hanno fatto discutere tanto la tifoseria, soprattutto negli ultimi 3 anni della proprietà Della Valle. Ma Corvino, almeno sul piano economico, è riuscito a non rimetterci quasi mai. 

Per la Fiorentina la tappa di Lecce sarà molto delicata: un risultato negativo risucchierebbe i viola in una zona delicata della classifica. Non si scherza, la partita vale tanto. La coppa però potrebbe aver rilanciato la Fiorentina, è quanto si augurano Italiano e i tifosi. Segnali da Jovic, Gonzalez e non solo. Si tratta di ritrovare i gol e un po’ di autostima. La Conference potrebbe aver reso migliori i viola. Tra poco le verifiche del caso.  

Il Lecce ha chiuso in parità le ultime tre sfide in casa, mentre la Fiorentina ha già subìto quattro sconfitte in questo campionato e sono racchiuse nelle ultime sei giornate. Il dato curioso è che la Fiorentina aveva perso quattro volte anche nei primi nove turni della scorsa stagione, ma vincendo cinque volte nel parziale aveva raccolto 15 punti contro i 9 di ora. Un’altra statistica inquietante sono i gol fatti, appena 7 sette: considerando le prime 9 partite di un campionato di Serie A, i viola hanno fatto peggio solo nel 1986/87 (5 centri). 
Lecce-Fiorentina non sembra avere niente di una sfida normale.