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JUVENTUS STRAFOTTENTE, ECCO PERCHÉ TI ODIO

di Massimo Sandrelli

“Perché odio la Juventus” non è una riflessione di questi giorni ma una provocazione che lo scrittore Manlio Cancogni lanciò una trentina di anni fa attraverso le colonne del Corriere della Sera. Mi ricordo ancora l’intervista televisiva che realizzai sulla “spiaggia fuori stagione” di Marina di Pietrasanta. Lui, con quel berretto sulle ventitré, appariva quasi stupito di aver suscitato tanto clamore. 

In realtà la Juventus provoca da sempre grandi amori quanto sentimenti violenti. Negli anni trenta in Italia imperava l’autarchia e si demonizzavano gli stranieri. Negli anni del “voi” al posto del “lei”, per importare calciatori d’oltremare s’inventò il concetto di oriundo, ovvero figlio di italiani all’estero. Il governo fascista coniò questo status proprio dietro l’insistenza del presidente Edoardo Agnelli (figlio del senatore e padre dell’avvocato) che voleva ingaggiare l’uruguagio Luisito Monti. Potere politico e potere economico: Juventus e Fiat divennero un binomio quasi indissolubile. Ma i potenti sono tali perché non solo vogliono comandare ma anche ostentare la loro arrogante potenza. Quando il 18 marzo 1983 morì l’ex “re di maggio” Umberto di Savoia, Gianni Agnelli impose e pretese che la Juventus scendesse in campo con il lutto al braccio, in barba alla Federcalcio, ai suoi regolamenti e alla Repubblica.

I potenti hanno a cuore i propri interessi ma sanno anche soffocare le ambizioni degli altri, in specie di coloro che non intendono sottomettersi. Nel calcio ciò si traduce nell’influenza sul Palazzo quanto sul mercato. Il potente è bravo nel soffiare il campione ai concorrenti ma anche ad impedire che i “nemici” possano rafforzarsi. L’epoca Boniperti, nata sotto la spinta di Gianni Agnelli e con la curatela di Italo Allodi, segnò la vera rinascita degli anni 70. E la Juventus guadagnò scudetti e coppe, perfino quella insanguinata dell’Heysel. Un solo motto: vincere. Né il suadente garbo di Boniperti deve trarre in inganno. Era conscio di rappresentare la Famiglia e non lesinava l’uso del potere. Dopo aver corteggiato inutilmente Antognoni, riuscì a spuntarla con Roberto Baggio. In un solo colpo la Juventus vinse la coppa Uefa, sconfiggendo la Fiorentina nella partita di ritorno a Avellino, e rapì il gioiello viola. Quella infame storia, mai realmente scritta, ferì Firenze e la sua gente tanto da provocare una vera e propria rivolta.

Juventus è un modo di essere e sentirsi juventini e come godere di un’indulgenza plenaria. Nella tifoseria bene si rintraccia una trasversalità che stupisce. Si va da Walter Veltroni fino a Emilio Fede, prima che quest’ultimo fosse folgorato sulla via di Segrate dal suo nume Berlusconi. Ma per sopravvivere il mito Juventus, come fosse Idra, il mostro pluricefalo, ha un disperato bisogno di cibarsi di vittorie. I fasti juventini si rigenerarono con l’avvento della triade Giraudo-Moggi-Bettega. “Lo stalliere del Re – dichiarò una volta l’Avvocato – deve conoscere bene tutti i ladri di cavalli perché solo così potrà adeguatamente curare gli interessi della famiglia…” Giraudo e Moggi seppero rinverdire la tradizione estendendo il proprio controllo un po’ ovunque: dal calciomercato alle assemblee federali. Massimo Moratti, presidente dell’Inter, un giorno mi partecipò un suo sfogo: “Fino a quando non riuscirò a spezzare l’egemonia della Juventus, non potrò mai a vincere…” Parole che mi tornarono in mente nei giorni delle intercettazioni e del calciopoli 2006, quando proprio la Juventus venne condannata e retrocessa mentre i suoi vertici furono definitivamente decapitati.

Dopo la vergogna della serie B e i primi goffi tentativi di recupero, si arriva ai giorni nostri: la presidenza di Andrea Agnelli, la direzione di Giuseppe Marotta, la panchina di Antonio Conte. Sembrava si fosse di fronte alla nascita di un new style. Lo stadio nuovo, nuovi volti ma vecchie abitudini. Dopo la condanna del suo allenatore, ha stupito (solo i più giovani in verità) la violenza verbale del nuovo presidente bianconero. E dopo l’assalto a Jovetic, fallito per la stoica resistenza di Andrea Della Valle, puntuale è arrivato lo sgarro. La Fiorentina aveva praticamente già definito l’ingaggio di Dimităr Ivanov Berbatov dal Manchester, inviando un bonifico con la prima rata dell’accordo e prepagando perfino il biglietto d’aereo per l’attaccante bulgaro e i suoi accoliti. Nello scalo di Monaco Berbatov e il suo agente vengono raggiunti dalla Juventus e tutto si interrompe. Marotta, poi, dirà che loro si erano mossi solo dopo il rifiuto del giocatore di venire a Firenze. Ma chi può credere ad una versione del genere? Se uno prende l’aereo non è certo per una passeggiata in cielo. Poco conta, ora, che l’attaccante sia tornato in Premier a vestire la maglia del Fulham. Il fatto, anzi il fattaccio, resta.

Mentre si stava consumando questa farsa, abbiamo sorpreso un tifoso viola, esimio avvocato di Vercelli, abituato quindi a vivere nell’ostilità calcistica locale, esclamare: “Juventus strafottente, ecco perché ti odio…” E la storia continua. Ma odio a parte, una inquietante domanda ci tormenta: almeno i soldi del biglietto aereo li renderanno?

Massimo Sandrelli - Giornalista, Rtv38