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LETTERA APERTA A DIEGO DELLA VALLE

di Enzo Bucchioni

Gentile Dottor Diego,

è un po’ che non la vediamo sugli spalti del Franchi. Forse troppo. Inutile dire che la sua assenza è stata notata e pesa un po’ per tutti. Mi sono deciso a scriverle questa lettera aperta dopo aver ascoltato le impressioni e i ricordi dei giocatori delle sue prime Fiorentine, quelle eroiche, senza maglie, ma tanto entusiasmo. Tutti hanno parlato dell’importanza della sua presenza, della sua energia, del suo carisma. Hanno raccontato delle sue telefonate di incitamento, non so se alle sei del mattino come era abituato a fare Agnelli ai giocatori e agli allenatori della Juventus, ma è lo stesso. Il nocciolo è proprio qui.

So benissimo che sono passati quindici anni e oggi è tutta un’altra storia. So anche che il calcio è un mondo strano e Calciopoli per lei è stata una sorta di spartiacque. Immagino anche che, come al solito, lei sia spesso in giro per il mondo e impegnatissimo a controllare le aziende e mercati in prima persona. I tempi lo impongono, il momento è duro per tutti. L’occhio del padrone…dicevano i vecchi. Già.

Lo stesso discorso mi permetto di farlo per il calcio. Anche la Fiorentina è una sua attività, anche questa società è nell’orbita del suo impero economico. E’ vero, non produce utile (anzi), è un’azienda particolare dove spesso programmare non basta (vedi caso Gomez) e c’è troppo margine di rischio legato agli eventi, ma anche qui l’occhio del padrone servirebbe eccome.

Non solo Agnelli all’epoca, ma anche Berlusconi, Abramovich in Inghilterra,  e potrei citarle decine di altri esempi, trattasi di grandi magnati impegnati in altre attività, comunque spesso vicini al calcio e sempre nei momenti decisivi.

Lei mi risponderà, come ha fatto tutte le volte che le ho chiesto un’intervista "ne parli con mio fratello, di Fiorentina si occupa lui". Lo so, lo sappiamo, ma ci sono ruoli e ruoli, personalità e personalità, momenti e momenti. 

Due occhi vedono meglio di uno…chissà perché oggi mi vengono in mente i proverbi. Ma non solo per questo. 

Voi siete la Famiglia Della Valle, un grande nome del made in Italy che da solo, in quanto tale, può pesare anche nel calcio. Nelle calzature lei cura in particolare Tods,  Hogan è per Andrea, ma non credo che il lavoro vada a compartimenti stagni. Non funzionerebbe. 

E infatti, come lei saprà, negli ultimi tempi la sua Fiorentina non funziona benissimo.

E questo dispiace. Ho provato anche a mettermi nei vostri panni. Tirare fuori soldi, impegnarsi, lavorare e poi essere presi anche a male parole non deve essere simpatico e neppure facile da accettare. Ma il calcio è una tribù e nelle tribù è sempre successo, prima o poi, a tutti. Anche a Berlusconi, tanto per rimanere in tema, dopo ventisette trofei vinti. Pensate e consolatevi.

Quello che invece dovrebbe far più riflettere è il disamore sempre più profondo del Popolo Viola, il solco sempre più grande, che separa la vostra Fiorentina dalla città, dalla tifoseria, anche da quella silenziosa che non contesta. Qualcosa che va perfino oltre i risultati sul campo, il bene e il male. C’è insoddisfazione a prescindere, forse frutto di quindici anni di un amore mai nato. E adesso stanco.

Ecco, il disamore può diventare il cancro più grosso e anche per questo mi sono permesso di scriverle. 

Stando lontani come è lei, non si ha sempre l’esatta percezione e chi riferisce, in genere, taglia le cose con il suo metro.

Che succede e perché succede? Dove abbiamo sbagliato? Cosa dobbiamo fare?

Credo che queste domande dovrebbero essere all’ordine del giorno di qualsiasi riunione in casa Viola.

Non è più un problema di "braccini corti", personalmente ho sempre ritenuto che avere una società sana debba essere un vanto e valga più di tutto il resto. Non è questo, oggi siamo andati ben oltre. Siamo vicini alla soglia di resistenza.

Sta passando il pericolosissimo messaggio che ai Della Valle della Fiorentina sia sempre interessato poco e oggi non interessi proprio più nulla, la tenete soltanto perché non trovate acquirenti solidi o (peggio) per fare business tra qualche anno con lo stadio, ripianare e andar via. 

So che non è vero, ma allora perché questa è la percezione comune?

Credo che a questa domanda andrebbe data una risposta dopo una attenta analisi degli avvenimenti degli ultimi anni. Vuole sapere cosa penso io, ammesso che interessi?

Bene. Parlavo prima delle sue aziende. Sappiamo che lei sceglie gli stilisti, approva le collezioni, controlla personalmente i pellami, le lavorazioni e la catena, decide gli allestimenti dei negozi e almeno una volta l’anno li visita tutti personalmente.  I risultati di questo lavoro si vedono.

L’industria calcio è la stessa identica cosa e lei lo sa benissimo. Vanno decisi gli obiettivi, scelti i manager, l’allenatore e i giocatori. Imposte delle regole. Le fasi della preparazione dell’evento agonistico vanno seguite per tutte la settimana minuto per minuto come si prepara una collezione. Le vittorie e le sconfitte nascono in settimana e non è solo un detto del pallone. Servono in Fiorentina uomini di calcio che amino il calcio e facciano le cose con passione. Basta con chi il pallone lo detesta, pensa che tutti guadagnino troppo e siano degli incapaci (se va bene) oppure ladri. Basta parlare di conti, bilanci, plusvalenze. Ha mai parlato ai suoi clienti dei bilanci della Tods o spiegato perché certe scarpe costano care? No, devono essere belle, comode e durevoli e se non lo sono non si vendono. Stop.  

Nel calcio è la stessa cosa. Non servono promesse illusorie, discorsi pensando che quelli del calcio abbiano l’anello al naso. Nel pallone, poi, la democrazia non esiste. La paura delle scelte e dei tifosi che mostra spesso Andrea non deve esistere. La società deve essere sempre sovrana, fare le sue scelte con coraggio, difenderle fino in fondo. E tutti in società devono remare nella stessa direzione. Si è mai chiesto perché nella Fiorentina ogni allenatore diventa un caso come non succede in nessun’altra società organizzata? Sarà mica gestito male? Il dubbio viene ed è concreto. Si è chiesto come mai cinque anni dopo è stato richiamato Corvino? Anche nel calcio tutto evolve come nella moda. Se oggi lei riproponesse i polacchini che indossava l’Avvocato riuscirebbe a venderli? Chissà. Ma Corvino forse serviva per delegare il comparto sportivo e trovare un eventuale parafulmine. Non si fa così, oggi si lavora in team e lei lo sa benissimo. L’uomo solo al comando non funziona più se non è un genio. E la presenza costante della proprietà o dei suoi rappresentanti diretti durante la settimana e nelle trasferte deve essere garantita.

Non vorrei farne però un problema di uomini, ma di organizzazione, leadership, rapporti e passione.

E non pensi che la Firenze del pallone voglia caviale e champagne, ricchi premi e cotillons. Il lampredotto va benissimo, anche un bel panino con la finocchiona. Ma dentro ci deve essere l’amore, la passione, il senso di appartenenza e la presenza.

La Fiorentina oggi è lontana dagli occhi (non diverte) e lontana dal cuore.

Le scrivo e chiudo, perché penso che soltanto lei ritornando allo stadio e in città, possa essere quel cordone ombelicale necessario a trasformare le negatività in positività. Esserci la può aiutare anche capire, a intuire, a percepire molte cose. Ritorni a mettere bocca. Chieda dell’allenatore da scegliere, so che Sousa non le piaceva poi ha detto . No, mi permetta, torni a pensare "facciamo noi". Idee e confronto servono anche per la Fiorentina. 

Questo non vuol dire sminuire il lavoro o il ruolo di Andrea, ma mettere in campo tutte le forze in un momento particolare. Altrimenti anche gli sforzi fatti per i novant’anni, il ritorno di Antognoni, lo stadio in programma e tutto il resto rischiano di rimanere senza futuro, mentre il futuro deve essere viola.

Grazie per l’attenzione se mai dovesse leggerla