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SE LO STADIO NON SI FARÀ, IL GRANDE FALLIMENTO È DELLA POLITICA NON DI COMMISSO

di Stefano Prizio

Ed anche oggi, è giunta la ferale notizia dell’addio prematuro di un grande campione: Paolo Rossi, protagonista della vittoria italiana più bella, il mondiale spagnolo del 1982. Era un’Italia più dolce e meno afflitta, quella che Pablito guidò alla vittoria. L’Italia del presidente Pertini ed è troppo vivo in noi il ricordo di quell’estate di gioia e vittorie, perché oggi s’abbia poi tanta voglia di parlare di pallone che non sia il pallone di quel mondiale glorioso.

Suvvia, al campione sempre sorridente, un minuto di silenzio glielo dobbiamo e qui glielo tributiamo a modo nostro, parlando di un tema che non siano esattamente le imprese sul campo dei ragazzi di Prandelli, che poi di grandi imprese non ve ne sono: parliamo invece di stadio nuovo, ovvero del grande sogno fiorentino  che da lustri riempie le pagine dei giornali, quasi peggio della famigerata 'cittadella viola'.

E però, dello stadio nuovo a Firenze c’è bisogno, non solo per rendere decente la fruizione dello spettacolo sportivo, da parte del pubblico, ma anche perché il Franchi, costruito nel 1931, cade ormai a pezzi, rendendo potenzialmente pericoloso frequentarlo. Ma c’è di più.

Ci pare infatti che se, come sembra, l’intenzione di Rocco Commisso di costruire un nuovo stadio, resterà lettera morta.

Il cocente fallimento, non sarà tanto dell’imprenditore italo americano, bensì della classe politica che governa la città e la regione Toscana, classe politica del medesimo segno, il PD, perciò almeno stavolta, non si potrà dar la colpa alle opposizioni cattive e retrograde, ai poteri forti, alla congiuntura, a Trump, a Putin ed alle sue fake news, all’ipotetico rigurgito fascista nel paese.

Il fallimento sarà della politica perché, se nell’anno del Signore 2020, quello della pandemia mondiale, della crisi mordente e di tutti i guai degli ultimi dodici mesi.

Se in quest’anno tanto difficile, una classe dirigente, non riesce ad intercettare un investimento potenziale da 300 o 400 milioni di euro da parte di un imprenditore che tra l’altro non chiede in cambio la luna, anzi lo frustra (non dimentichiamo il balletto Mercafir al quale il patron viola è stato sottoposto e che ha interpretato come una presa in giro) , significa che quella classe dirigente è per lo meno  inadeguata, non all’altezza della durezza dei tempi.

Certo, le regole vanno rispettate, tempi o non tempi, ma anche la scala delle priorità secondo buonsenso e quindi tra la morte civile per l’assenza di lavoro e la tutela di un bene, il cui valore  c’è, ma è relativo (non è il Ponte Vecchio è affermazione apodittica, ma sintetizza il punto).

Individuare la quadra non è compito facile, ma è comunque compito di lor signori che stanno assisi sugli scranni del potere politico, non dei giornalisti né tanto meno del popolo degli sportivi, che ha solo il diritto di pagare un biglietto, per vedere la partita decentemente e in sicurezza.

Ha però ragione il sindaco di Firenze, Nardella, che ha chiesto un confronto pubblico  agli  archistar, ( insorti gridando alla tutela del vecchio stadio) domandando loro,come mai non fecero sentire la propria voce nel ’90 quando lo stadio venne pesantemente modificato per venire incontro alle esigenze del mondiale che si andava organizzando in Italia, al tempo prevalse la razionalità, anche se in nome di quella venne reso più brutto l’impianto, senza risolverne completamente i problemi di funzionalità.

Così forse oggi dovrebbe prevalere la necessità di non perdere un grande investimento e di avere uno stadio  decente per andare a seguire le partite – non scordiamo che agli americani nulla si insegna nel fruire al meglio dello spettacolo sportivo – 'non buttiamolo giù' gridano i puristi, ebbene ci penserà forse il tempo, facendo il suo corso, a buttarlo giù, e i segni del decadimento già si vedono in abbondanza sulle antiche vestigia che ci auguriamo non caschino prima o poi in testa a qualcuno.

Eppure tra l’ipotesi Mercafir e il Franchi, era spuntata una soluzione terza che sembrava salvare capra e cavoli: Campi Bisenzio, ma presto,tutto han fermato i bastoni in mezzo alle ruote, ‘Campi non è Firenze‘, si è detto, e ‘il capoluogo non può perdere lo stadio della Fiorentina’.

E allora vi preghiamo, che non si cianci più di città metropolitana, volendo far intendere che i comuni dell’area fiorentina, peraltro governati dalla stessa maggioranza politica, prendano di concerto le decisioni, dividendosi in fraternità oneri ed onori.

In verità è la solita guerra per bande, dove ogni municipio, Firenze in testa, si batte perché le beghe finiscano agli altri e ciò che conviene resti rigorosamente entro la cinta muraria. Che si abbia almeno il pudore di riconoscerlo.