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STAGIONE SBAGLIATA? NO, IL FALLIMENTO È IL CICLO. TRE ANNI SENZA EUROPA, SERVE UN’ALTRA IDEA DI CALCIO. COPIARE I MIGLIORI CON UMILTÀ

di Mario Tenerani

Partiamo dagli applausi. La squadra viola, piena di limiti ma anche di cuore, ci ha provato a Bergamo sostenuta dai 2.200 che hanno tifato fino alla fine. Gol ed errori, grinta e distrazioni, campionario completo. Montella l’ha preparata benissimo, i viola si sono applicati, ma alla distanza sono emerse le lacune di sempre. In fin dei conti la sfida di giovedì è stata il paradigma di una stagione sbagliata: occasioni da gol sprecate, la sagra delle possibilità fallite. Ha ragione Montella, la fotocopia di Torino. Quante ne abbiamo viste di partite così? Una quantità industriale. I gol mangiati non sono alibi, ma segni negativi. Se la Fiorentina è undicesima in classifica e fuori da tutto alla fine di aprile, la ragione è questa. L’Atalanta è quarta e in finale di Coppa Italia perché è più forte, convinta, organizzata, figlia di un’idea di calcio ben connotata. Le differenze ci sono, tangibili, evidenti. Un’idea c’è anche a Firenze, ma purtroppo è sbagliata. Se i Della Valle ne prenderanno atto forse la Fiorentina tornerà ad avere un domani. Perché sono loro, in quanto proprietari, a determinare il destino nel bene e nel male. Gli altri sono solo ingranaggi più o meno importanti. 

E’ il momento dei processi, c’era da aspettarselo. Della Valle, Cognigni, Corvino, Pioli, i giocatori, gli attori di questo psicodramma pallonaro si muovono, come in un valzer, sul banco degli imputati. C’è chi punta l’indice su uno piuttosto che sull’altro o sugli altri, le critiche volano come coriandoli, ma tagliano come lame. Nessuna meraviglia, dopo un’annata così - tra l’altro deve ancora finire e andrà gestita l’emergenza - è il minimo sindacale. A fine maggio, appena terminato il campionato, conosceremo i cambiamenti, ove mai ci saranno. 

Il presidente Andrea Della Valle e Pioli, oggi ex allenatore dopo le dimissioni, avevano indicato a Moena l’obiettivo stagionale: “Migliorare il piazzamento dell’anno scorso”. Tradotto: arrivare settimi. Posizione che spesso, ma non sempre (e quest’anno potrebbe succedere) garantisce lo strapuntino sul treno Uefa. Ora i viola sono nella parte destra della classifica, il disastro è conclamato. Ma l’errore è soffermarsi su questa stagione. 

Il vero fallimento è il ciclo che la società viola ha aperto, pubblicizzato in ogni forma, che purtroppo ha partorito un topolino. Parliamo degli ultimi due anni, se vogliamo pure tre tenendo presente anche Sousa, periodo nel quale la Fiorentina avrebbe dovuto cambiare pelle - a suon di plusvalenze -, rilanciandosi: invece si ritrova a zero, nell’infelice posizione di dover ripartire daccapo per l’ennesima volta. Montella ha e avrà un ruolo centrale nelle scelte di mercato. Ha già messo sul piatto le proprie richieste: sei-sette giocatori nuovi - tra questi un play -, più esperti, smaliziati.  

La scorsa estate il mercato ci era sembrato più facile dell’estate precedente quando era stata praticata la rivoluzione: bastavano tre-titolari-tre da innestare su un telaio che si mostrava abbastanza robusto. Pjaca, Gerson e Lafont: i primi due sono stati autentici flop e il transalpino non è cresciuto. Il portierino non ha fatto progressi, questo è il problema: speriamo solo che l’età verde gli consenta di migliorare tanto. Gli addetti ai lavori dicono che gli mancano i fondamentali: l’ottimo preparatore Alejandro Rosalen Lopez dovrà dare il meglio di se stesso per rendere Lafont affidabile.  

Questo è il saldo negativo. A centrocampo si è voluto rinunciare al regista, affidandosi a mediani normali, purtroppo sprovvisti di idee e cambio di passo. Gerson, il più dotato tecnicamente, è l’immagine del “potrei, ma non voglio”. Il suo modo compassato di stare dentro la gara lo rende più simile ad un giocatore di cricket che ad un interno del terzo millennio. A Bergamo ha perso l’ennesima palla sanguinosa, da lì è partita l’azione del rigore di Ceccherini su Papu Gomez. Nel calcio di oggi servono piedi buoni e gamba vigorosa, Atalanta docet. 

Una Caporetto viola, tre anni senza Europa. Questo è il vulnus della società. La Fiorentina non può competere per lo scudetto, lo sappiamo, e anche per la zona Champions ha evidenti difficoltà, tutto chiaro, ma deve avere però come obiettivo primario, non negoziabile, un posto in Europa League. Deve giocare su un palcoscenico continentale per la storia che le appartiene; per la città che rappresenta; per la proprietà che la guida, eccellenza imprenditoriale; per lo sviluppo di maggiori introiti e per avere maggiore attrazione rispetto ai nuovi giocatori. Senza le coppe i calciatori non ti scelgono. Ecco perché ogni anno fuori dall’Europa per la Fiorentina è un fallimento. Se non si capisce questo concetto, sarà difficile dare un nuovo impulso alla Fiorentina. 

In questo frangente così delicato, sarebbe opportuno un intervento della proprietà, una spiegazione, una versione sulle cause del fallimento e sulle modalità dell’auspicabile ripartenza. Mentre i dirigenti potrebbero esprimere un moto di autocritica, sarebbe un aiuto per calmare un ambiente in ebollizione. “Scusateci, quest’anno abbiamo sbagliato tutto, ci impegneremo per rimediare”. 

Infine un sostantivo bellissimo: umiltà. Non c’è niente di male nel fare passi falsi, nel calcio come nella vita e nel lavoro vince chi commette meno errori perché non esiste la patente di infallibilità. Umiltà significa anche guardare ai club più evoluti e più capaci, in Italia e all’estero, cercando di copiare il meglio. Certo, adattando tutto ai parametri di Firenze, città unica, e al blasone della Fiorentina. Ma se c’è qualcuno che ha fatto due passi avanti - quando altri hanno fatto come i gamberi - merita di essere seguito. Nessuno si deve vergognare di guardare all’Atalanta come a un modello: a Bergamo hanno dimostrato di essere più bravi a far calcio che a Firenze. 

Questo significa avere un’altra idea di calcio. Vendere va bene, ma chi arriva deve essere altrettanto bravo se non di più. I giovani talentuosi vanno trattenuti, non persi. Il monte ingaggi non può diventare un problema per il bilancio, ma neppure un ostacolo alla competitività. La Fiorentina non può vivacchiare, ma regalare emozioni. Il tempo dei processi è cominciato, le responsabilità sono sotto gli occhi di tutti. Si tratta di assumersele.