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55 ANNI FA L'ALLUVIONE, DE SISTI A FV: "FIRENZE AVEVA BISOGNO, LA FIORENTINA L'HA AIUTATA"

di Dimitri Conti

Il 4 novembre non è un giorno come gli altri per Firenze, è la data in cui 55 anni fa l'Arno uscì dagli argini e inondò la città. L'alluvione del 1966 è un episodio rimasto nel tessuto sociale fiorentino e anche della sua squadra, visto che al tempo anche i protagonisti in maglia viola, che avrebbero dovuto giocare quella domenica contro il Lanerossi Vicenza, dettero una mano a modo loro. Per ripercorrere quei giorni e quelle ore, FirenzeViola.it ha contattato in esclusiva Giancarlo De Sisti, scudettato da capitano e poi anche sulla panchina viola.

Racconta Picchio: "Fu un giorno triste, difficile, dal notiziario arrivavano situazioni allarmanti. C'era allerta. Al di là della gravità della cosa e della risonanza che c'è stata, ricordo che quel giorno ero andato a Careggi a farmi visitare, dove c'era il nostro medico che aveva maggiori strumenti per controllarmi il problema muscolare. Era il primo per me. Pioveva da giorni, sono tornato al Franchi a riferire all'allenatore e al medico. Appena fatto col professor Baccani, una sorta di confidente per quanto era intelligente, faccio come per salire sulla mia Golf e tornarmene a casa. Mi ferma e mi chiede "Picchio, ma 'indo tuvvai? Non sai che è uscito l'Arno in Piazza Beccaria?". Io abitavo proprio lì in prossimità, in Viale Mazzini. Mi disse di prendere la bicicletta, ma a me questo discorso non tornava. Arrivai in questa strada a schiena d'asino con marciapiede abbastanza bagnato, lasciai la macchina lì e chiesi ai signori di uno studio di architetti al primo piano dove fosse mia moglie. All'alimentari. Ci vado di corsa: lei dice che ce ne dovevamo andare subito a casa. Lì raggiunsi il mio vertice, perché la prima cosa cui pensai era di mettere la macchina in garage, sotto il suolo. Il portiere mi chiese dovevo avevo messo tutto quel cervello che avevo in campo... La mattina dopo ci siamo svegliati che era tutto pieno di fango. Ci sentimmo con Pirovano, tra i compagni più anziani e saggi. Avevamo un amico in comune, il papà di Paolo Bertelli (preparatore ex Chelsea e Juventus, ndr) di cui eravamo clienti al negozio d'abbigliamento. Quindi siamo andati in centro e abbiamo visto la famosa macchina col muso dentro al bar di Piazza Duomo dal vivo...".

Ci ricorda come avete agito voi della Fiorentina?
"La partita era diventata un dettaglio, abbiamo assistito i camion che portavano scorte e viveri allo stadio, diventato una sorta di base operativa. Noi della squadra ci siamo dati da fare come potevamo. Certo, non come gli angeli del fango che sono stati benefattori verso la bellezza e la civiltà di Firenze. Abbiamo fatto da facchini, da portantini, da aiutanti di campo. Abbiamo vissuto questa tragedia, in cui qualcuno purtroppo è anche passato a miglior vita. L'abbiamo vissuta col cuore in mano, sentendoci fiorentini e parte della città, del disastro avvenuto. Una cosa toccante, che mi ha segnato. La metto tra le grandi esperienze che ho avuto a Firenze, anche se non tra quelle belle. In quel contesto vai a pensare alle cose più serie, non di certo al calcio. C'era gente che aveva bisogno di mangiare e di un letto per dormire. Il legame con Firenze per me è stato cementato, e rimane fortissimo. Quella può valere come una sconfitta, non è una vittoria, ma che onore. Ci siamo sentiti più che mai legati alla città, anche chi non c'entrava niente. Chi sa la storia di Firenze sa quanto sia stata profonda quella unione, al di là dello Scudetto dei tre anni successivi. Firenze aveva bisogno, abbiamo aiutato".