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OCCHI PUNTATI SU... Ljajic, e la crisi di "identi(e)tà"

di Stefano Borgi

Nell'era del neologismo, del francesismo, dell'americanismo, dell'aforisma (magari, almeno avrebbe una valenza letteraria) noi, per spiegare la crisi di Adem Ljajic, abbiamo scelto un banale gioco di parole. Abbiamo unito i due termini "identità" ed "età", e ne è venuto fuori un terzo (in verità non troppo eufonico...) "identietà". Un pò per gioco, un pò per necessità di sintesi, molto per cercare le vere ragioni di un'involuzione che comincia a preoccupare. Perchè identietà? Adem Ljajic arriva a Firenze il 15 gennaio 2010 dal Partizan Belgrado, per la considerevole cifra di 6,5 mln. di euro. Qualcuno grida alla meraviglia (lo voleva il Manchester United che poi ha fatto cadere l'opzione), qualcun altro allo scandalo (così tanti soldi per un ragazzino di 19 anni scarsi...) fatto sta che Corvino lo presenta come un fuoriclasse in pectore, e ciò che più conta come un esterno offensivo. Giusto, perchè in patria Adem partiva dalla sinistra per poi accentrarsi (alla Robben a fasce invertite, per capirsi) e concludere. All'inizio anche Prandelli lo utilizza così, terzo di sinistra nel 4-2-3-1, salvo bocciarlo dopo un primo tempo imbarazzante a Roma contro la Lazio il 27 febbraio scorso. Da lì il talentino serbo sparisce per riemergere nel ritiro di Cortina sotto l'egida di Sinisa Mihajlovic. Il tecnico di Vukovar lo promuove sul campo, in amichevole gli assegna spesso il numero 10, lo sposta in mezzo nel cuore del gioco, insomma gli cuce addosso il ruolo di rifinitore o, se preferite, di centrocampista tra le linee. Ed è quì che si interseca la seconda parte del nostro gioco di parole: età. Lo abbiamo detto, Adem ha solo 19 anni, un fisico mingherlino, carne da macello in un calcio fisico, muscolare come quello italiano. E poi ha le abitudini, i "vizi" ed i "vezzi" dei suoi 19 anni: la play station, la nutella, la cura maniacale dei propri capelli, le serate in discoteca con amici e compagni di squadra... cose normali, legittime, che però contrastano con la vita da professionista che la sua dimensione di campioncino richiede. Risultato? Luci ed ombre, alti e bassi, prodezze mirabolanti e pause interminabili. Due rigori trasformati nelle prime giornate, uno invece decisivo sbagliato (contro il Palermo alla 6° giornata), un gran gol due settimane fa contro il Brescia, quando Mihajlovic (più per disperazione che per reale convinzione) era passato ad un avveniristico 4-3-1-2, dove quell'uno era proprio Adem Ljajic, vero e proprio rifinitore dietro Gilardino e Babacar. Identità abbiamo detto, tattica, di ruolo in campo ma anche d'importanza all'interno della squadra. Da quando Mihajlovic è tornato al 4-3-3 Ljajic è sembrato involuto, spaesato, emarginato dalla manovra. Contro il Lecce, ad esempio, si era visto subito che la giornata non prometteva niente di buono: pronti via ed il ragazzo sbaglia un controllo elementare. Dopo 4 minuti "ciabatta" un tiro da fuori area, poi una serie di dribbling lenti ed inutili, palle perse (ne abbiamo contate 18 nel solo primo tempo), quel continuo sbattere contro l'avversario e rimbalzare impotente. Fino alla sostituzione ad otto minuti dalla fine, fin troppo tardiva. Come è ovvio, non è il momento di fare drammi, nè di emettere giudizi. Il tempo lavora per Ljajic, ci mancherebbe. Però occorre un potenziamento fisico immediato, un lavoro psicologico sulla convinzione, sulla determinazione, una collocazione tattica precisa ed un controllo più serrato della vita privata. Altrimenti il rischio di perdere e disperdere per strada un talento di purissimo cachemire è altissimo.