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"OCCHI PUNTATI SU..." Pazzini, il coltello nella piaga

di Stefano Borgi

Piove sul bagnato. Non bastava la sconfitta con la Lazio, l'ennesima delusione, l'ennesima sconfitta in trasferta (come promemoria: la Fiorentina non vince fuori casa dal 13 marzo scorso...Napoli-Fiorentina 1-3), una classifica a dir poco deficitaria con l'unica consolazione di tre squadre (Cesena, Brescia e Bari) che si stanno autoretrocedendo al posto dei viola. A tutto questo si aggiunge la prova di Giampaolo Pazzini, la prima con la maglia dell'Inter. Qualcuno dirà: cosa c'entra Pazzini con la Fiorentina, cosa c'entra un giocatore che ha lasciato Firenze addirittura due anni fa? Rispondiamo subito: consideriamo Giampaolo Pazzini ancora uno di noi, un prodotto della Fiorentina, un ragazzo preso imberbe dall'Atalanta e ragalato al grande calcio grazie agli insegnamenti di tutto l'ambiente viola. Consideriamo la cessione di Pazzini come il primo grande errore della gestione Corvino ed il primo segnale di disimpegno della famiglia Della Valle. E non ascoltate chi dice che a Firenze Giampaolo non era più apprezzato, che veniva fischiato, contestato, deriso... Giampaolo Pazzini, al contrario, è sempre stato rimpianto, applaudito nei suoi due ritorni al "Franchi" con la maglia della Sampdoria e chi vuole la controprova venga allo stadio il 16 febbraio quando ci sarà il recuupero con l'Inter. Il "Pazzo" come la spia di un disamore, di un distacco, di un allontanamento che si sublima nell'assenza dei Della Valle dalle cose viola. Nessuno dei fratelloni presenti contro il Lecce, nessuno in tribuna a Roma contro la Lazio. Risultato, due prestazioni imbarazzanti, un punto in due partite, una squadra che sprofonda, contestata, abbandonata dai propri tifosi. Per questo abbiamo identificato le nostre riflessioni nel nome di Giampaolo Pazzini: i due gol all'esordio con l'Inter sono state una vera e propria pugnalata perchè Giampaolo ci ricorda una Fiorentina unita, compatta, determinata, costruita per raggiungere l'obiettivo. Ci ricorda quel fantastico girone d'andata del 2005-2006 quando in coppia con Luca Toni la Fiorentina spiccò il volo, mettendo insieme 40 punti in 19 partite, dando spettacolo su ogni campo d'Italia, ponendo le basi per le quattro qualificazioni virtuali alla Champions League. La fattura dei due gol al Palermo ci riportano a prodezze mai dimenticate: stop al volo, girata e tiro radente alle spalle del portiere. Cross in area e anticipo di testa sul difensore avversario... questo è il repertorio di Giampaolo e questo gli abbiamo insegnato noi, questo gli ha insegnato Firenze e la Fiorentina.

Cosa resta oggi di tutto ciò? Ahimè, ben poco. 90' a Roma con un solo tiro in porta, un tredicesimo posto in classifica umiliante, deprimente, a tratti sconfortante. Una povertà tecnico-tattica, di posizioni in campo, di equilibri (lo ha detto lo stesso Mihajlovic, la squadra è spaccata in due con 60 metri di campo tra i reparti...) disarmante, imbarazzante. Un disamore verso la maglia talmente evidente da ritenere ovvio, scontato che si facciano le 4 in un noto locale (di giovedì!) e poi si vada in campo con le gambe molli. Giampaolo Pazzini non è Maradona, non è Baggio, non è nemmeno Messi, in poche parole non vince le partite da solo, però faceva parte di un gruppo vincente, motivato, con dei punti di riferimento (Jorgensen e Dainelli su tutti) che oggi vengono a mancare (Montolivo? Gilardino? Mutu? Lasciamo perdere...) In panchina il padre putativo di quella squadra, Cesare Prandelli, ed in tribuna, a stringere mani ed a tirar le fila, Diego Della Valle, il cui silenzio è assordante per chi tifa viola. Non vogliamo essere noi ad agitare il coltello nella piaga, ma Pazzini ci ricorda la nostra Fiorentina. Quella che non c'è più.