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"OCCHI PUNTATI SU" Gila e rigila, gli alibi sono finiti

di Stefano Borgi

L'ultimo di una lunga serie è la nascita della secondogenita. Si chiama Gemma (benvenuta, e complimenti per il nome... "prezioso"), arriva tre anni dopo Ginevra, e per lei Alberto Gilardino avrebbe passato due notti insonni e saltato l'ultimo allenamento. Legittimo, ci mancherebbe altro, sopratutto se c'era il placet di tecnico e società. Quello che, invece, a noi interessa sono gli alibi (la lunga serie di cui sopra), le giustificazioni, i motivi per i quali lo scarso rendimento del bomber mondiale (Alberto, è vero, fino ad ora ha fatto dieci gol, ma è l'atteggiamento, la presenza in campo che non convince...) si sta prolungando in modo pesante, quasi fastidioso, dopo sette mesi di campionato passati a fare alle "sportellate" con i difensori avversari. Ma andiamo con ordine: è l'estate 2010 e Gilardino disputa un campionato del mondo "bestiale" con la nazionale di Marcello Lippi. Una partita e mezzo senza mai tirare in porta, senza dare traccia di se. Il Sudafrica ce lo restiituisce svuotato, svilito, e già dal ritiro di Cortina vediamo un Gilardino incerto, poco convinto, poco motivato. Le ragioni del disagio sono facilmente intuibili: non c'è l'Europa, non c'è più Prandelli, non c'è Mutu (almeno fino a novembre). E forse non c'è nemmeno la necessaria fiducia nel "progetto", stando almeno a certe dichiarazioni nelle quali si richiedono incontri "chiarificatori" ed illuminanti con la proprietà. Insomma, tra Gilardino e la Fiorentina si è rotto qualcosa e badate bene, non ci sarebbe niente di strano. Comincia così la stagione e Alberto è solo, tremendamente solo lassù in cima all'attacco viola, supportato (poco e male) dagli esterni, da un modulo 4-2-3-1 che non funziona, che non produce, che addirittura non difende. Ecco perchè parliamo di alibi, perchè la stagione di Gilardino è stata un alibi continuo: il gila è solo, non gli arrivano palloni giocabili, i compagni non lo aiutano (metteteci anche l'infortunio di Jovetic, l'unica seconda punta in rosa che poteva aiutarlo), gli esterni non lo accompagnano, e via andare... La solitudine di Gilardino era diventata un titolo a nove colonne e su questo sono stati scritti e spesi fiumi di parole.

Intanto Gilardino, di riffa o di raffa, attingendo al suo enorme mestiere di centravanti, qualche gol lo mette insieme: tre in otto partite fino al rientro di Adrian Mutu, a Catania il 31 ottobre 2010. Da allora Mutu e Gilardino (al netto delle bravate del romeno e di un piccolo infortunio del gila) giocano insieme 12 partite con 5 reti di Alberto e 3 di Adrian, ma sopratutto la Fiorentina comincia a giocare, a produrre occasioni da gol, a sfatare quella solitudine del centravanti diventata ormai un macigno insostenibile. Ed è quì che, finiti gli alibi, i conti non tornano, perchè Alberto Gilardino è sempre lo stesso: gioca spalle alla porta, non da l'impressione di voler "spaccare il mondo" come dovrebbe fare un attaccante del suo livello (attenzione, non che Alberto "tiri indietro", però...), tradisce quell'aria triste, spaesata, demotivata. Anche Mihajlovic non nasconde il problema. Il tecnico serbo non fa nomi e cognomi, anzi difende Gilardino dalle critiche ("io sono contento di Alberto, perchè lui c'è sempre. Siamo noi che dobbiamo dargli i palloni buoni, poi ci penserà lui a fare gol...") ma allo stesso tempo dice che la Fiorentina non è cinica sotto porta, che fa pochi gol, che spreca troppe occasioni... E allora? Mancano otto partite alla fine del campionato, le classiche otto finali. Andrea Della Valle dice che "siamo tutti sotto esame" e di conseguenza lo è anche Gilardino. Se Alberto vuol rimanere, se vuol continuare il progetto Fiorentina, non deve perdere tempo, non deve lasciare niente d'intentato. Sopratutto deve ricominciare a fare gol.