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"OCCHI PUNTATI SU..." Felipe Melo, grinta, personalità ed un futuro da leader

di Stefano Borgi

Quando arrivò a Firenze lo conoscevano in pochi e con quel nome, Melo, qualcuno disse..."A Firenze non ha futuro". Lui, forse, fiutando il pericolo si affrettò a precisare che il suo nome principale era Felipe (suona meglio, non c'è dubbio) e per questo diffidò chiunque dal chiamarlo soltanto Melo. Per una volta, Corvino e Prandelli, furono d'accordo sulla candidatura di questo ragazzone di Volta Redonda, un passato nell'Almeria, in Spagna, dove, tra l'altro, la scorsa stagione aveva realizzato 6 reti, giostrando da centrocampista avanzato. Come spesso capita l'inizio non è dei più facili. Prestazioni tutto sommato buone, nonostante la posizione nuova in campo (più arretrata), grinta e personalità da vendere, ma un'irruenza smodata negli interventi e per niente consona ad una rigidità arbitrale tutta italiana. L'espulsione poi, subita alla prima giornata contro la Juventus, fu l'apice e il punto di non ritorno di questo disagio. Felipe ha raccontato nei giorni scorsi che tutto questo era dovuto ad una difficoltà di concentrazione, di scarsa serenità, forse dovuta al cambio d'ambiente, ad una nuova realtà da comprendere, ad un carico di pressioni superiore a quello esistente in terra spagnola. Effetti indesiderati di questa situazione erano poi una malcelata lentezza a distribuire il gioco ed una pericolosa propensione a perdere palloni importanti, per di più in una zona del campo, quella centrale, nevralgica per definizione.

 

Felipe ha lavorato, ha lavorato molto. Prandelli lo ha aiutato, facendogli sentire una fiducia incondizionata da parte sua, non togliendolo mai di squadra, e affidandogli le chiavi del centrocampo. Il risultato è il Felipe Melo di queste ultime partite, deciso, grintoso, ma educato, addirittura amico degli arbitri, con i quali (recita lui testualmente) non parla più se non per chiedere come sta la famiglia. Nei 90', poi, si trasforma in un implacabile cacciatore di palloni, regista con licenza di offendere e di concludere come è successo ieri, al 20', contro l'Atalanta. Palla al limite dell'area, Felipe la controlla, se la porta sul destro e quasi da fermo (come faceva un suo connazionale, Carlos Dunga, guarda caso ora tecnico della nazionale verde oro pentacampione del mondo) lascia partire un fendente rasoterra che si insacca alla destra del portiere nerazzurro. Nel mezzo la solita partita di sostanza, senza fronzoli, un gran numero di palloni giocati (con l'invidiabile media in campionato di 65 a partita) ed un numero (in proporzione) ancora superiore di quelli recuperati (126 in tutto), per un centrocampista al momento imprescindibile per Cesare Prandelli, e punto di riferimento irrinunciabile per i compagni in maglia viola. Certo, l'ingombrante presenza del brasiliano nello spogliatoio viola non è passata inosservata. Ne ha fatte le spese Marco Donadel, insofferente di fronte all'esuberanza caratteriale e tecnica di Felipe, e di fatto escluso dall'11 titolare. Il futuro di Felipe è segnato ed è lui stesso ad averlo spiegato non più tardi di quattro giorni fa davanti a media e taccuini. "Datemi tre mesi per imparare bene la vostra lingua e porterò la Bibbia nello spogliatoio, convincerò tutti a seguirmi, (Felipe è di religione Evangelica e molto devoto a Dio), vedrete che saprò farmi capire bene". Tre mesi, quindi, per trasformarsi in un insegnante di religione, tre mesi per diventare il leader di questa Fiorentina. L'investitura di Prandelli è scontata, quella dei compagni anche (Mutu e Montolivo la hanno definito senza remore superiore globalmente a Liverani) e lui, Felipe, che non aspetta altro.

 

Un ultima domanda: Felipe, stai studiando da leader? "Si, amigo, mi piacerebbe diventare il leader di questa squadra. Sto lavorando per questo". Noi siamo sicuri che ci riuscirà, e comunque...appuntamento fra tre mesi.


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