ADV, Fiduciosi per un grande futuro
Fonte: L'Avvenire
Vi riportiamo qua la lunga e bella intervista di Andrea Della Valle apparsa oggi sulle pagine dell'Avvenire
Scusi, ma come dobbiamo chiamarla? Presidente, azionista di maggioranza della Fiorentina, dottor Andrea Della Valle?
«A me va bene anche signor Andrea...». È la risposta che arriva dal “cuore di cuoio” di Andrea Della Valle. Un cuore grande e generoso, tipico della razza marchigiana che con la microimprenditoria ha realizzato l’ultimo vero miracolo economico di questo Paese. Con il fratello Diego, dal 2004, un passo alla volta, secondo la filosofia degli antichi artigiani della natia Casette d’Ete, hanno raccolto la Fiorentina dalle ceneri fallimentari della C2 per riportarla nell’Europa delle grandi. Missione non riuscita nell’ultima stagione, ma questa che parte oggi, se non pone il club del casato Della Valle in prima fila per la lotta allo scudetto, lo incorona - secondo noi per la seconda volta - , con il tricolore del fair-play.
Dopo che per primi avete introdotto il “terzo tempo” nel calcio, adesso aprite in A allo sponsor solidale sulla maglia...
«L’idea mi è venuta due anni fa parlando con il presidente del Barcellona Joan Laporta. Per noi il club catalano rappresenta da sempre un modello e la loro sponsorizzazione solidale “Unicef” mi ha folgorato. Mettere a disposizione un investimento importante per il progetto di “Save the Children” non è un sacrificio. Riuscire a salvare la vita di tanti bambini che hanno la stessa età delle centinaia che affollano ogni giorno i campi del settore giovanile viola, ci riempie il cuore. La speranza è che altri club ci vengano dietro...».
Il vostro “terzo tempo” però non è stato molto emulato, come mai?
«Perché le novità di questo tipo da noi si fa sempre un po’ fatica a capirle subito. Non ci hanno seguito in tanti è vero, ma penso che dopo quella nostra prima volta del saluto agli avversari in campo, qualcosa è cambiato nella mentalità collettiva. L’obiettivo è arrivare a un finale di partita come nel campionato inglese, in cui perfino i tifosi avversari ti stringono la mano, anche se la loro squadra ha perso».
La cultura sportiva dominante è vincere ad ogni costo, voi invece tempo fa avete indossato maglie con la scritta: “Il calcio è un divertimento”. Ma questo sport così esasperato è davvero ancora un divertimento?
«Per il pubblico assolutamente sì. Per chi ha fatto la scelta coraggiosa di dirigere una società non sempre ci sono degli aspetti divertenti. Per di più è anche un impegno meno remunerativo sul piano economico. Di sicuro il fatturato della Fiorentina è dieci volte inferiore a quello delle nostre imprese di famiglia».
Però i Della Valle sono stati tra i primi a darsi un tetto massimo di spesa e ad allontanarsi dalle cifre folli del mercato.
«Noi siamo partiti prima, ma adesso a frenare le follie ci penserà Platini con il “fair-play finanziario”. Trovo che sia giusto, oltre che necessario darsi una regolata: chi non avrà i bilanci a posto non potrà iscriversi ai campionati e tanto meno partecipare alle Coppe europee».
È tempo che anche gli ultrà si diano una regolata e accettino la tessera del tifoso.
«Siamo il 3° club della Serie A per numero di tessere del tifoso. Sbaglia chi vede la tessera come una schedatura, si tratta invece di uno strumento per normalizzare il clima pesante che si respira intorno al nostro calcio e dovrebbe servire a riportare una volta per tutte le famiglie allo stadio. Ma per cambiare le cose ci vuole tempo e soprattutto tanto dialogo con la tifoseria».
Come avete fatto a tranquillizzare un tifo caldo come quello viola che un tempo era tra i più irrequieti?
«Quando siamo arrivati a Firenze io e mio fratello Diego abbiamo subito parlato chiaro ai tifosi: in caso di atti violenti saremmo stati pronti a fare immediatamente un passo indietro e a lasciare la società. Risultato: trasferte in allegria per i paesi della provincia e al Franchi 25 mila persone per una partita di C2. Tra i nostri risultati più importanti ci metto quello di aver trasmesso il messaggio che allo stadio si va come a teatro, per lo spettacolo. Da noi non ci sarà mai un posto libero per la violenza».
Però anche la tifoseria più tranquilla chiede risultati sul campo e titoli...
«Quest’anno siamo fuori dall’Europa, ma la consideriamo una parentesi. Nel calcio non c’è memoria... Eppure nelle ultime due stagioni abbiamo sfiorato una finale di Coppa Uefa e l’anno scorso siamo arrivati a un passo dai quarti di Champions».
Puniti agli ottavi dalla svista arbitrale del signor Ovrebo che all’andata, a Monaco, convalidò il 2-1 del Bayern con Klose in fuorigioco netto...
«Gli arbitri fanno parte del gioco. Siamo stati eliminati, ma i complimenti sinceri di Platini e Rumenigge che hanno capito come una piccola realtà come la nostra sia cresciuta e diventata importante in così pochi anni, per noi valgono quanto un titolo vinto».
L’uomo che parla sempre di “titoli”, Mourinho, prima di andare al Real ha detto che il nostro sistema calcio è pessimo e invivibile.
«Premetto, sono un estimatore di Mourinho, ma il nostro calcio non è assolutamente da buttare, anzi. Il problema è che quello che ha detto Mourinho è anche un po’ il pensiero diffuso di un certo spirito disfattista degli italiani. Un atteggiamento che alimenta questo perenne senso di crisi».
Come ci si libera allora dall’alone nero che è piombato sopra il nostro sistema-calcio?
«Con il dialogo. Noi proprietari di club dovremmo parlarci di più, essere uniti come fanno nelle altre leghe europee in cui i presidenti sono “nemici” in campo, ma veri amici fuori che collaborano a progetti comuni. E poi servirebbero dei personaggi esemplari e trasparenti che mettano d’accordo tutti come Giacinto Facchetti, una di quelle figure rare che manca tanto al nostro ambiente».
Dalla Fondazione Giacinto Facchetti a quella di Stefano Borgonovo: un pallone può davvero aiutare chi soffre?
«Si può fare tanto, anche qui, a cominciare dal sostegno agli ex calciatori ammalati di Sla. Stefano Borgonovo è un nostro amico e la partita dell’8 ottobre 2008 (il “Borgonovo Day”) è stato uno dei momenti più toccanti da quando siamo alla Fiorentina. Ora vogliamo fare altrettanto per Giancarlo Galdiolo. I suo figli domani (oggi ndr) saranno con noi allo stadio».
Si ricomincia, solita postazione dalla tribuna del Franchi, ma chi è più tifoso lei o suo fratello?
«Tifiamo Fiorentina in egual misura, ma con modalità opposte. Diciamo che io sono quello che dopo una partita manifesta apertamente gioia e sconforto, mentre Diego si limita a gioire e soffrire in silenzio...».
Quanto tempo ci vorrà ancora, prima che possiate gioire per qualcosa di grande?
«I diritti tv oggi creano un divario abissale di centinaia di milioni di euro tra le grandi e realtà come la nostra. Ma siamo fiduciosi per il futuro e contiamo con delle attività alternative di recuperare quelle risorse necessarie per cercare di arrivare almeno a uno stato di equilibrio».
Per ora dovete accontentarvi dello “scudetto della solidarietà”.
«Non mi pare che esista... Ma se vogliamo istituirlo noi partecipiamo volentieri. E su questo versante posso assicurare che la Fiorentina è una squadra da battere».