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DI CINTIO, Il perchè dello sciopero

di Redazione FV
Fonte: Cesare Di Cintio per TMW

Tanto tuonò che piovve. Dopo diverse minacce il sindacato AIC, che rappresenta la maggior parte dei giocatori di Serie A, ha dichiarato di scioperare nelle giornate dell'11 e del 12 dicembre prossimo.
Punctum dolens della questione è il rinnovo dell'accordo collettivo scaduto lo scorso giugno.
Innanzitutto è bene precisare che si parla di "contratto collettivo" poiché gli atleti professionisti, in base alla legislazione vigente, debbono esser considerati dei lavoratori subordinati e, come tali, sono rappresentati dalle rispettive organizzazioni di categoria che agiscono per la tutela degli interessi corporativi.
Ricordiamo che, attualmente, i sindacati sono due: quello storico, che può contare sul maggior numero di adesioni, ovvero l' AIC ( Associazione Italiana Calciatori) e il neonato ANC (Associazione Nazionale Calciatori) che rappresenta, per ora, solo una quarantina di atleti ma solo perché nato da poco meno di due settimane.
Per completezza espositiva è il caso di precisare che lo sciopero è stato dichiarato dall'AIC.
Quale è la materia del contendere?
Originariamente i punti in discussione erano otto: ingaggi flessibili, cure mediche, codice disciplinare, multe e sanzioni, collegi arbitrali, allenamenti fuori rosa, cessioni obbligatorie e attività extra calcio.
L'evolversi delle trattative, tuttavia, ha portato le parti ad isolare la problematica intorno a due tematiche ovvero quella degli ingaggi flessibili e degli allenamenti separati.
Con l'andar del tempo, tuttavia, il vero problema si è rivelato esser quello connesso ai cosiddetti "allenamenti separati" nei quali avrebbero dovuto, secondo la Lega di Serie A, esser raggruppati i giocatori cosiddetti "fuori rosa" ovvero quelli che, da un lato, non rientrano nei piani sportivi della società ma, dall'altro, rimangono comunque contrattualmente vincolati alla medesima.
La Lega di Serie A, come anticipato, avrebbe voluto raggiungere un accordo sul punto con il sindacato maggioritario e, quindi, fare allenare gli atleti "fuori rosa" a parte rispetto al gruppo degli altri sportivi.
L'AIC, sul punto, invece, è sempre stata rigida poiché l'idea che il giocatore potesse esser relegato ad allenarsi lontano dal team avrebbe potuto favorire condotte qualificabili come mobbing.
Ed, infatti, il discrimine tra la scelta tecnica dell'allenatore, che dovrebbe formare i gruppi di lavoro, ( ovvero quelli dei giocatori che rientrano nei piani tecnici della società nell'immediato e gli altri) e l'ipotetico comportamento vessatorio da parte della società sarebbe molto labile.
Non a caso, proprio nell'ultimo periodo, abbiamo assistito a vertenze promosse da atleti verso società per chiedere alla giustizia sportiva la risoluzione di contratti proprio a causa di atteggiamenti discriminatori assunti dal sodalizio calcistico verso l'atleta.
All'uopo vorrei ricordare proprio i casi Pandev e Merchetti di cui ho già discusso in altri scritti che, inspiegabilmente, erano passati dall'altare al dimenticatoio calcistico a fronte di problemi ( contrattuali) sorti con le rispettive società di appartenenza.
Ebbene per l'AIC la legittimazione degli "allenamenti separati" avrebbe come effetto solo quello di favorire condotte qualificabili proprio come mobbing.
Certo vi è anche da sottolineare che, affinché possa configurarsi la fattispecie del mobbing, non è sufficiente che un giocatore venga invitato ad allenarsi separatamente dagli altri colleghi di squadra ma è altresì necessario che venga dimostrata la mala fede della società, che tale scelta non sia tecnica, che vi sia una volontà vessatoria da parte dell'ente, che non vengano fornite pari opportunità rispetto agli altri giocatori e che la condotta sia ricollegabile a fini diversi da quelli sportivi.
Infine, bisogna dimostrare il danno nell'atleta che non può esser isolato in quello economico o di immagine ma deve manifestarsi come pregiudizio e sofferenza di ordine psicologico connesso alla situazione creatasi con la società datrice di lavoro.
In conclusione, per dimostrare la sussistenza di condotte qualificabili come mobbing è necessario che vengano forniti riscontri oggettivi a determinate condotte ( ipoteticamente vessatorie) poiché gli allenamenti separati, se considerati isolatamente, non sono sufficienti a configurare la figura giurisprudenziale in esame secondo la mia opinione.
Sul punto l'ANC, ovvero l'altro sindacato appena costituito da Cristiano Doni e Gigi Buffon, invece, ha esternato posizioni di critica verso lo sciopero dichiarato dalla associazione concorrente che avrebbe potuto gestire diversamente l'intera vicenda.
Quanto poi al fatto che lo sciopero venga da molti criticato ritengo che, a tal riguardo, siano state spese troppe e inutili parole poiché il fatto che i calciatori guadagnino molti soldi non significa che i medesimi non possano esercitare un diritto che la legge riconosce loro.
Ritengo che il problema non sia morale ma giuridico. La legge 81/91 ha classificato gli atleti professionisti come lavoratori subordinati e non come liberi professionisti, il che significa che i calciatori possono esercitare il diritto di sciopero costituzionalmente garantito esattamente come gli operai.
La questione è un'altra a mio giudizio.
Gli strumenti giuridici con cui tutti oggi si confrontano sono ormai inadeguati al calcio moderno che necessita di esser riformato non solo a livello di sistema ( prima o poi parleremo di Corbelli, Tanzi, Parma e Verona ) ma anche livello Legislativo dato che la legge sul professionismo sportivo sta per compiere 30 anni e i tempi sono decisamente cambiati.
Oggi il calcio ha un impatto non solo sociale sulla collettività ma anche economico e fiscale del quale troppi, a livello politico, sembrano non essersene ancora resi conto.