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IBRAHIMOVIC, Gli scudetti della Juve sono 38, non 36

di Redazione FV

Dal palco del Festival dello Sport di Trento, l'ex attaccante Zlatan Ibrahimovic ha parlato della sua carriera. Questi alcuni passaggi, riproposti da TMW: “In Italia iniziai nella Juventus di Fabio Capello. Mi diceva che mi avrebbe tirato fuori tutto l’Ajax che avevo dentro. Mi dissi fra me e me ‘iniziamo bene’. Voleva da me più concretezza e da quel giorno sempre, ogni giorno, con Italo Galbiati lavoravamo sempre nei tiri in porta. Capello diceva che la mia tecnica era superiore a Van Basten ma non avevo i suoi movimenti. Abbiamo lavorato su questo aspetto. Trezeguet è stato intelligente perché ha saputo sfruttare bene il lavoro che facevo in campo. Lui faceva tanti gol a me sinceramente mi mancavano. Poi ho capito la mentalità del calcio italiano dove bisogna saper giocare bene e segnare. Dissi a Trezeguet che da quel momento in poi anche io avrei giocato più avanti. Gli scudetti della Juventus sono 38 perché abbiamo lottato ogni giorno dimostrando che eravamo i più forti in Italia. Non sono 37, gli scudetti della Juve sono 38”.

Sui suoi inizi: "Amsterdam per me è stata la città in cui ho conosciuto Mino Raiola. Ci siamo posti inizialmente in maniera arrogante entrambi. Il primo incontro fu ad un ristorante giapponese, arrivai ben vestito. Lui ordinò per 8 persone. Mi mise davanti a me i numeri dei più grandi attaccanti: Vieri, Shevchenko, Trezeguet, Inzaghi. Le statistiche di Ibracadabra non erano eccezionali. Lui mi disse con quei numeri non poteva vendermi ad una big. Poi per me divenne tutto: amico, papà, confidente. Siamo cresciuti insieme, le nostre carriere sono andate di pari passo. Siamo diventati forti insieme, i più forti di tutti. Io nella mia categoria e Mino nella sua. Ricordo che mi disse al primo incontro se volevo diventare più forte o più ricco. Io dissi che volevo diventare più forte e lui disse che andava bene così sarei diventato anche ricco. Gli ultimi momenti con lui sono stati difficili da vivere, sono state tante le emozioni. Provavo a portare a lui un po’ di positività ed energia cercando di non fargli pensare alla malattia. Lui lavorava per i suoi giocatori e non per i club. Mi ha sempre messo davanti a tutto ma non solo con me, è stato un generoso. Era forte Mino".