LUCA SERAFINI, Giù le mani da Ambrosini
Fonte: Luca Serafini
Scaricate pure i fucili: non ho nessuna intenzione di scrivere di Massimo, del cui primogenito Federico sono padrino, del quale sono amico fraterno, le nostre famiglie sono amiche, i miei e i suoi amici sono gli stessi. Da quasi 20 anni. Sarebbe miope e poco credibile. Tutti i giornalisti sportivi sono amici di qualche giocatore: la differenza è che, salvo qualche rara eccezione, non lo confessano. Gli danno sempre 7 in pagella, li aiutano a trovare squadra sul mercato, stanno dalla loro parte, ma non confesseranno mai di esserne amici. Così come l'essere tifosi: io l'ho detto da subito, dal primo giorno della mia carriera sportiva dopo tanti anni di cronaca nera: per onestà. Tutti i giornalisti sportivi sono tifosi, anche beceri, ma pochissimi confessano di esserlo. Per apparire super-partes, non per esserlo davvero. Scaricate pure i fucili perché contrariamente alle regole che rispetto da sempre e che mi hanno imposto i direttori con i quali ho avuta l'immensa fortuna di lavorare, Livio Caputo, Vittorio Feltri, Maurizio Belpietro, Maurizio Mosca (soprattutto), Gigi Vesigna, Aldo Biscardi, Ettore Rognoni, questa volta scriverò in prima persona. Non ho paura di farlo: loro mi hanno insegnato l'onestà intellettuale, la deontologia, il rispetto assoluto, totale verso i lettori (che oggi sono anche telespettatori, followers, amici, visitatori...). Non faccio la gara ad averne di più, anzi sento enorme la responsabilità di non tradirli, di non tradirvi. L'unico mezzo che ho, l'unico mezzo che ha un giornalista, è scrivere quello che vede, quello che sa, quello che scopre, quello che pensa. Violentando le amicizie e i rapporti personali, quando e se serve. Non è questo il caso. Parlo infatti soltanto di Ambrosini capitano del Milan, come sempre, non un martire per carità, ma crocefisso da una parte di tifosi del Milan per dichiarazioni che non ha fatto, per cose sacrosante che ha detto, per una foto con cui qualcuno si è divertito a tradirlo. Fu molto più grave e irrispettoso quello striscione sventolato da ubriaco, "Lo scudetto mettilo nel culo", per cui i tromboni di tutta Italia lo misero alla gogna, sorvolando invece sulle volgarità e i travestimenti e le maschere di Materazzi. Ambrosini non ha detto "mi sono fatto espellere a Siena l'ultima giornata per dare una mano alla Fiorentina", ha detto invece eccome "anche la Fiorentina (rip. 'Anche' la Fiorentina...) avrebbe meritato la Champions, ha giocato spesso meglio del Milan l'anno scorso". Verità assoluta e incontestabile.l Per gli sportivi. Per i beceri invece un'infamia. Poi è arrivata la foto, una goliardata, niente di offensivo né di criminale: un ragazzo, evidentemente molto giovane, con una maglietta bianca e una scritta in viola, "Rigore per il Milan!". Una battuta. Soprattutto, un fotomontaggio. Provato. Non ci sarebbe stato niente di male nemmeno fosse stata una foto reale: nessun calciatore ha mai fatto togliere una maglia a un tifoso che chiede una foto o un autografo, sarebbe come chiedere al giocatore di coprirsi i tatuaggi o di tagliarsi la cresta. Anzi è invece proprio questo il nuovo modello di quei tifosi milanisti indignati da cotanto tradimento di Ambrosini: tatuati e crestati. Non fa nulla se fedeli per 18 anni alla maglia, non fa nulla se vinceranno così tanti trofei, non fa nulla se saranno capitani per 4 anni e se in quei 4 anni con la fascia bianca al braccio alzeranno altri 2 trofei (più un altro nel 2007 a Montecarlo). Non fa nulla. L'importante è che non dicano mai che "anche" un avversario avrebbe meritato, l'importante è che non facciano mai ironia su quella sacra maglia che invece è stata strappata via da un capitano, gettata in mare dal ponte di una nave da crociera tra un mojito, un "siamo a posto così", "arriva uno se va via un altro". Questa sì che è musica per le orecchie di quei tifosi indignati con Ambrosini, chissenefrega se uno strafinito logoro sempre infortunato come lui viene cacciato via sopperendo a una dimenticanza ("Ah, scusate, il contratto di Ambrosini non verrà rinnovato. Non ve lo avevo già detto? Che sbadato..."). Il punto è proprio questo: in un'estate, l'ennesima, in cui i colpi rossoneri sono Poli e Saponara e il migliore, El Shaarawy, "è cedibile" eccome, il milanista si incazza. A prescindere. Per i teatrini con Tevez, con Allegri, con Robinho, con Strootman, con Ljajic e i prossimi che ci aspettano con Honda, Boateng e chissà quali altri. Così come un anno fa Niang sbarcò accolto come il messia tra flash, microfoni, riflettori. Per il semplice fatto che non c'era nessun altro da presentare. Basta un Massimo Ambrosini qualsiasi, padre di famiglia esemplare, capitano fedele, atleta e professionista generoso irreprensibile di lungo corso, per accendere i riflettori. Non c'è nessun altro da inquadrare, "siamo a posto così", "siamo da scudetto". Nessun altro da insultare per scaricare un po' di rabbia repressa. Un po' di frustrazione per un altro mercato più da Cesena (con tutto il rispetto) che da Milan. Massimo Ambrosini non ha bisogno che io lo difenda, ha salutato tutti con discrezione in un'aula spoglia di San Siro, seduto a un banco di scuola su una pedana, con le braccia conserte. Con la pacatezza e la serenità, l'educazione e l'arguzia di sempre. E tranquilli: da venerdì prossimo si torna al plurale maiestatis. Anche per non provocare la sensibilità degli infami che con i loro insulti e la loro insolenza hanno costretto la moglie di Ambrosini, Paola, a cancellarsi da twitter. Al collega che non ha esitato a seppellirlo di improperi su un blog cavalcando l'onda dell'insurrezione popolare, accostando con disprezzo Ambrosini agli altri capitani dell'ultimo mezzo secolo, facendo una confusione tremenda tra dati e situazioni (essendo diventato opinionista ancora col grembiule, come accade a molti di questa generazione di "giornalisti" che invece di avere la fortuna di avere certi direttori, hanno un galletto da pollaio nel pollaio dove campano starnazzando), ho già risposto privatamente nonostante le vostre sollecitazioni pubbliche. Chi pesta una merda da solo non ha bisogno che qualcuno gliene tiri addosso dell'altra.