ROSSI, Io ''mammone'' mondiale. La mia famiglia..
Fonte: Vanity Fair
Queste le battute più importanti di Giuseppe Rossi, in un'intervista che il numero 49 viola ha rilasciato in questi giorni a Vanity Fair:
Guardo fuori dal finestrino, New York sta diventando un punto lontano. Giuseppe «Pepito» Rossi guida con la sicurezza di chi questa strada l’ha percorsa un numero infinito di volte. In breve, arriviamo a North Haledon (New Jersey), superiamo il centro della cittadina e poi eccoci in una zona di casette linde, come di zucchero, rese ancor più linde dalla neve che è caduta in abbondanza nell’ultimo mese. A casa, ci accolgono Nilde e Tina, la mamma e la sorella di Giuseppe, dolci e ospitali. C’è il cafè e ci sono dei biscotti «arrivati dall’Italia» sul tavolo da cucina più lucido che io abbia mai visto. Dall’Italia è arrivato anche Giuseppe, a gennaio. Il quinto giorno dell’anno, durante la partita Fiorentina-Livorno, vittima di un fallo del difensore Leandro Rinaudo, Giuseppe si è fatto male e ha dovuto dire addio al Campionato, dove stava facendo faville: quattordici gol in diciotto giornate, un record battuto solo due settimane fa dallo juventino Carlos Tévez. Per rimettersi in forma, è venuto qua, nel New Jersey. Dove è nato 27 anni fa e dove tuttora vivono la madre e la sorella. Il papà Fernando, cui era legatissimo, è mancato quattro anni fa, dopo una lunga malattia. In questi mesi, Giuseppe si è dedicato anima e corpo, con un senso della disciplina ammirevole, al riaggiustamento di questo crociato anteriore, già lesionato in passato. Stamane, il fsioterapista che lo segue gli ha fatto fare 43 piani a piedi in un palazzo di New York. L’infortunio è stato di quelli brutti. «Stavamo guardando la partita, come sempre. L’ho visto cadere e mi sono subito spaventata», racconta la mamma. «Tina ha cercato di tranquillizzarmi ma, appena gli hanno inquadrato il viso, ho capito che era grave». Sguardo di mamma non sbaglia. Da quella domenica 5 gennaio, i tifosi della Fiorentina (Matteo Renzi in testa) si domandano se, con Giuseppe in campo, la squadra avrebbe potuto raggiungere risultati migliori. E i tifosi della Nazionale sperano che si rimetta in tempo per il Mondiale. Del resto, il soprannome «Pepito» glielo diede Enzo Bearzot, che in un’intervista lo paragonò a Paolo «Pablito» Rossi, a proposito di Mondiale, appunto. I genitori sono insegnanti, arrivati in America da bambini. Giuseppe è cresciuto qui nel New Jersey fno a quando, compiuti 12 anni, è venuto in Italia per entrare nel Parma. In seguito, prima di approdare alla Fiorentina, è stato al Manchester e al Villareal. Il calcio è la sua vita, fin dall’infanzia. Il padre, che era stato anche calciatore in gioventù, tornava a casa all’ora di pranzo e lo faceva giocare in giardino. «Dai, Giuseppe, dribbla un po’», gli diceva. Disciplinato ma non ossessionato, parla con proprietà di linguaggio in entrambe le sue lingue – l’italiano e l’inglese – e quando legge i giornali non si ferma solo alle pagine dello sport. La notte degli Oscar ha scritto su Twitter: «Un italiano che trionfa in America per me ha un gusto particolare! Grande Paolo Sorrentino».
Perché per lei era importante venirsi a curare a casa?
«Quando succedono queste cose, la terapia fsica non basta. Serve avere gente che ti motiva, che ti trasmette pensieri positivi, che ti fa sentire amato».
Quindi, nessuno più di mamma?
«Nessuno. Lo ammetto. Sono un momma’s boy. Come si dice in italiano?».
Mammone.
«Ecco, sono un mammone. Quando avevo 12 anni e andai in Italia con papà, mi era mancata moltissimo. È stata sempre bravissima. Faceva sentire la sua presenza anche da lontano, però io ero piccolo e sofrivo. Una volta, eravamo lontani da un mese e mezzo che a me pareva un’eternità, arrivò a sorpresa a prendermi a scuola a Salsomaggiore Terme e scoppiai a piangere per l’emozione. Adesso, a causa dell’infortunio, sto recuperando un po’ d’infanzia perduta».
L'intervista completa domani su Vanity Fair.