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DA MINORANZA A MAGGIORANZA

di Niccolò Santi

“L'ambiente sta vivendo un momento difficile, ma era evidente già da un po’ di tempo”, ha dichiarato ieri in sala stampa nel post-partita l’allenatore viola Stefano Pioli, sollecitato in merito all’importante contestazione che aveva avuto luogo fuori dallo stadio pochi minuti prima. Una valutazione, quella del tecnico, corretta e condivisibile, seppure si supponga che possa essere riferita al breve periodo finora trascorso da lui a Firenze.

In realtà, però, l’insofferenza manifestata dalla tifoseria è parte di un inquietante crescendo che è nato diverso tempo addietro. Difficile, infatti, non accorgersi di come la piazza avesse intuito che qualcosa stava mutando già durante l’era Sousa, con ancora Pradè in carica di d.s., al cui cospetto una proprietà pur presente stava cominciando a buttar giù le basi di un progetto di demolizione del monte ingaggi.

Qualcosa che, negli anni, si è poi palesato nel tragico sprofondamento della Fiorentina fino all’attuale undicesimo posto in classifica. E, se una fetta dei sostenitori gigliati era appunto già in fermento da un paio di stagioni a questa parte, possiamo tranquillamente dire che ieri la contestazione si sia consumata quasi all’unisono, con circa 1500 persone che urlavano infuriate davanti alla tribuna. 

Ma un’aria particolarmente tesa si era respirata pure all’interno del Franchi prima del fischio finale, non tanto per l’esodo dei tifosi dalle parti della curva Fiesole a quasi quindici minuti dal termine della partita, quanto per i cori di scherno nei confronti della proprietà che stavolta hanno coinvolto anche gran parte del settore di Maratona (e non solo). Tutto ciò è la dimostrazione di un segnale che, adesso più che mai, non può passare inosservato a chi di dovere.