ESEMPI ESTERI
Chissà se Commisso si è goduto lo sconto delle multe ai suoi dirigenti per le dichiarazioni dopo la gara con la Juventus o l'apertura della Federcalcio alle chiamate del VAR, cosiddetti challenge. Di certo anche nella giornata di ieri non si è fermato un attimo sul fronte più determinante per il futuro: lo stadio. L'incontro con il Sindaco Fossi di ieri mattina riporta in quota l'area Campi Bisenzio, mai del tutto accantonata e sulla quale la Fiorentina ha lavorato sotto traccia negli ultimi mesi, ma apre anche una nuova fase dialettica tra il club e le istituzioni.
Perchè il numero uno viola sembra nuovamente alla ricerca di opzioni e valide alternative, e oltre a non nascondere cosa non gli è andato giù in questi primi mesi fiorentini chiama a raccolta anche gli altri comuni dell'hinterland, affinchè una soluzione alternativa all'attuale stallo si possa quanto meno immaginare. Il tutto mentre da Firenze filtra soprattutto silenzio visto il bando pubblico relativo all'area Mercafir che impedisce qualsiasi dichiarazione. Anche per questo motivo lo sguardo della Fiorentina si è posato all'estero, con più di un incontro avvenuto ancora ieri con studi di architettura internazionali, europei ed extraeuropei, che hanno già realizzato stadi e impianti in tutta Europa.
Perchè se il parallelo di Commisso con gli Stati Uniti dove una franchigia può anche decidere di cambiare città non regge (ma è successo per esempio nella NFL, con i Saint Louis Rams che nel 2016 se ne sono andati a 3.000 km di distanza, a Los Angeles) è altrrettanto comprensibile il voler ricorrere a esempi esteri per dimostrare come in Europa sia stato possibile costruire stadi moderni e comfortevoli. A prescindere da dove sorgessero, che fosse in centro o in periferia. Nessuno discute la difficoltà di un'operazione che debba metter insieme tutti i tasselli di un mosaico che restituisca alla città un nuovo stadio e nuove aree commerciali, ma certo dovrà pur esserci una via di mezzo tra l'immobilismo italiano (lo stesso che in questa città si riverbera pure sull'aeroporto) e l'efficienza straniera.
E' però fuori dai confini nazionali che tocca guardare per farsi un'idea sulle nuove generazioni di stadi, anche perchè in Italia non è solo Firenze a restare bloccata. Tolte alcune eccezioni, tutto il calcio italiano è lontano anni luce da quella crescita strutturale che invece avrebbe dovuto investire impianti usciti da un mondiale disputato esattamente 30 anni fa.
Lo sanno a Roma come a Napoli, a Milano o a Bologna, e poco aggiunge la logica del mal comune mezzo gaudio secondo la quale anche fuori Firenze è particolarmente complicato costruire nuovi stadi. Che si parli di un impianto sportivo, di un ponte, di un'autostrada o di una nuova pista d'atterraggio la tendenza delle nostre parti conferma solo l'incapacità di un paese di cambiare e di conseguenza anche evolversi. La cronaca degli ultimi anni è inclemente, anche e soprattutto con la precedente proprietà, ai limiti della noia per una vicenda diventata telenovela senza epilogo e costantemente anticipata da sorrisi e buoni propositi spazzati via alle prime incongruenze.
Una cronaca che oggi racconta di un investitore straniero che ancora non ha ben chiaro nemmeno il luogo dove potrebbe investire soldi ed energie per consentire al suo club di fare un passo in avanti. Nonostante un bando pubblico di vendita di un'area sulla quale non esistono certezze, nonostante una serie di candidature che, a cominciare da Campi, potrebbero persino moltiplicarsi e con la soluzione di un ritocco del Franchi, di sfondo, che pare come minimo poco percorribile seppure eviterebbe lo step - non banale - di una nuova destinazione per lo stadio del Campo di Marte. A Commisso e al suo entourage non resta altro da fare se non mirare altrove. Nell'impossibilità di trasferire la squadra lontano, come avverrebbe negli States, almeno esiste la possibilità di scoprire nuove soluzioni ai problemi, cronici, tipici delle nostre latitudini.