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L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI BORJA

di Giulio Incagli

Se ti chiami Borja Valero, beh, è normale che le aspettative e le attese siano sempre altissime. Che al primo, anche se minimo, momento di flessione, salgano l’incredulità e lo sgomento. E, se il momento si trasforma in periodo, allora è comprensibile che si possano scatenare anche i primi (immeritati) mugugni e perplessità.
Dopo un anno e mezzo a livelli stratosferici, elogiato ed osannato da tutta Italia, e non solo, Borja sembra infatti essere entrato nel più classico dei periodi neri. Chi non ci è mai inciampato del resto? Ma se ti chiami Borja Valero, a Firenze, questo diventa un fatto dalle tinte quasi paranormali.

Ieri, al trionfo del Franchi, mancava soltanto lui (dei disponibili si intende). O meglio, era presente ma vederlo esultare e gioire con i compagni sotto la Fiesole, con la pettorina ancora addosso, è stato un qualcosa di veramente strano e, forse, unico per la sua storia a Firenze. Un segnale forte. Coraggioso. Ma giusto, in un momento difficile come questo per lo spagnolo. Montella ha avuto l’ardore di rischiare in una partita così delicata e, senza nulla togliere al todocampista viola, alla fine ha avuto anche ragione. Un boccone duro da mandar giù ma forse necessario. Sì perché il Borja Valero di questo inizio di stagione, sembra l’immagine sbiadita e triste di quello ammirato nei primi tempi fiorentini. Lui, per la verità, il sorriso non l’ha mai perso ed è sempre sembrato tranquillo e sicuro di sé.

Riconoscenza. Rispetto. Ammirazione. Nessuno lo ha mai messo in discussione. Nemmeno dopo una lunga serie di prestazioni incolore e ben al di sotto dei suoi standard. Firenze conosce il suo valore, l’ha toccato con mano e vuole tornare al più presto a goderselo. Ora tocca a lui ritrovare se stesso e tornare a recitare un ruolo da protagonista in questa Fiorentina.