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LA SOLITUDINE DEL CENTRAVANTI

di Marco Conterio

Quando migliaia di chilometri ti separano dall'amore di una vita, le alternative sono due. Sedersi sulle rive dell'Oceano con sguardo malinconico e pensieroso al tramonto, oppure sgomitare come sempre nella routine quotidiana con il cuore rivolto ad ovest. Quella di Alberto Gilardino, quella della solitudine del centravanti, è una storia simile. Sgomita a fatica in mezzo alle colonne d'Ercole erette dalle difese avversarie, rivolgendo tristemente lo sguardo al compagno di gioco che ora non c'è. Già. Perché alla Fiorentina manca l'uomo che attacchi il dischetto, la seconda punta. Adrian Mutu, per non girarci troppo intorno. O Stevan Jovetic, per dire un altro nome non certo a caso.

Partiamo dallo ieri, dal Mestalla, per analizzare nubi e dubbi del domani. Da una gara dove Gilardino è stato spettatore sì interessato, ma pur sempre e solo spettatore. Marchionni e Papa Waigo, larghi, hanno difficilmente servito cross buoni per le incornate. Quando è capitato, torri e corazzieri del Valencia, ne hanno imbrigliato ogni volontà realizzativa, in un due contro uno senza esclusione di colpi. Perché, appunto, la solitudine del centravanti è legata alla mancanza dell'uomo a rimorchio.

D'Agostino, sopraffino palla al piede, idee geniali e vista a 360° su compagni ed avversari, ha agito da regista basso a Udine e come trequartista unico, dietro una sola punta, fa mancare peso e sostanza alla manovra gigliata. Resta basso, lo stesso fanno gli unici due mediani, sicché la Fiorentina si ritrova povera e scarna nell'area avversaria. Cosa buona per gli avversari, non troppo per la truppa di Mihajlovic. Manca anche Ljajic, già. L'Inter di Mourinhana memoria, giocava con tre attaccanti più un trequartista. E' osare sin troppo, forse, ma nè Marchionni, nè Santana, nè Papa Waigo, sono uomini da gol a frotte. Tutto nelle mani del centravanti, aspettando Mutu. Troppo solo, però, per sorridere, a soli dieci giorni dal via al gran ballo del pallone.