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LE DUE VERSIONI DI DUSAN

di Dimitri Conti
artwork: Giacomo Galassi

“Una partita come le altre”. Poche parole, pronunciate dal fresco juventino Dusan Vlahovic dopo che il tabellone di Coppa Italia gli aveva riservato un immediato ritorno al Franchi, da avversario. Dichiarazioni che naturalmente hanno fatto scalpore e contribuito, per una certa parte, a disegnare ulteriormente il forte centravanti serbo classe 2000 come un freddo, algido e ingrato cyborg privo di qualsiasi sentimento, a dispetto di qualche segnale proveniente invece già allora dal linguaggio del corpo, dallo sguardo. La conferma ai dubbi è arrivata sabato, appena prima che la Fiorentina scendesse in campo, grazie alla viva voce dello stesso Vlahovic. Con ordine.

Vlahovic Versione Uno
Tutto inizia il 10 febbraio. A stretto giro di posta dall’impresa viola di Bergamo, la Juventus si evita i tempi supplementari nell’ultimo quarto di finale di Coppa Italia, piegando il Sassuolo proprio grazie a un assolo palla al piede di Vlahovic, decisivo nel provocare l’autogol di Ruan. A fine partita, con il tabellone che incrociava Juve e Fiorentina, inevitabile la domanda sul ritorno al Franchi. Poche parole, uno sguardo a tratti perso nel vuoto: “Sarà una partita come le altre per me”. Esaltazione del popolo bianconero, dibattito in seno a Firenze: sarà vero?

Vlahovic Versione Due
A minare robotici entusiasmi ci ha pensato lui stesso, com’era inevitabile che fosse parlando della tappa che ha portato un ragazzo minorenne dal giocare nelle periferie di Belgrado al campionato italiano e a una vetrina da protagonista assoluta dentro le mura di una città, Firenze, che di uguale alle altre non ha niente. Dopo la doppietta di Empoli, a pochi chilometri di distanza, un Vlahovic visibilmente emozionato all’avvicinarsi del momento, ha speso ben più tempo nel mettere insieme pensieri e parole. “Non so che dire… Ho tante sensazioni, mischiate. Li ringrazio per tutto, certo, ho vissuto anni bellissimi a Firenze”, un tono decisamente in antitesi rispetto alle dichiarazioni di sedici giorni prima, alla narrazione della partita come le altre. Una seconda versione di Vlahovic, ben più umana e - nonostante un addio accolto tutt’altro che a belle parole fronte Firenze - legata ad amicizie e periodi di vita vissuta impossibili da cancellare così, semplicemente cambiando casacca.