MACIA, Il re del tiki-taka viola che ci manca già
A portarlo a Firenze ci aveva pensato Pantaleo Corvino nel novembre 2011. E dire che, tra gli addetti ai lavori e la stampa, quasi nessuno lo conosceva non è affatto un eufemismo. Eduardo Macìa è approdato in viola nel silenzio più totale, se pur sulle spalle si portasse il peso di una carriera da vero top-player del mercato: una crescita sempre costante al Valencia, poi quattro importantissimi anni al Liverpool più una breve parentesi in Grecia, all’Olympiakos. Poi Firenze, la città che è stata la sua casa per altre quattro stagioni e che lo ha portato nuovamente alla ribalta del calcio che conta.
Perché sebbene i primi mesi a Firenze di Macia siano coincisi con la devastante stagione del duo Mihajlovic-Rossi in panchina, è stato con l’inizio del ciclo Montella (e con l’arrivo di Pradè, da lui scelto per la società) che la Fiorentina ed il lavoro del dirigente spagnolo hanno ripreso a brillare di luce propria, attirando domenica dopo domenica curiosi e sempre più simpatizzanti del tiki-taka viola all’interno del centro sportivo di Viale Maratona.
Borja Valero, Gonzalo Rodriguez, Alberto Aquilani, Joaquin e Mati Fernandez (senza parlare di Giuseppe Rossi) sono solo alcuni dei nomi che Macia ha contribuito in modo determinante a portare a Firenze, giocatori che - al di là dell’attuale momento viola - sono risultati determinanti nel conseguire un progetto tecnico basato sul bel calcio, il possesso palla ed un gioco imprevedibile: una manovra impostata sulla falsa riga di quella del Barcellona di Pep Guardiola. E se la Fiorentina per almeno due anni è stata etichettata come la squadra col miglior gioco d’Italia, una grande parte di merito ce l’ha proprio lui: “Edu” Macìa. Un dirigente vecchio stampo che, dopo il suo addio, manca già e non poco alla piazza viola.