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QUEL CHE VORREMMO ESSERE

di Tommaso Loreto

Premessa doverosa: lo spunto non arriva direttamente da chi firma in calce. Ma era troppo stuzzicante, e condivisibile, per non riportarlo. Da giorni, a Firenzeviola.it, riceviamo mail e lettere aperte su quanto sta accadendo. L'addio, ormai praticamente scontato, di Cesare Prandelli alla Fiorentina, ha scosso l'intera città. Passi fra i tavolini dei bar, delle birrerie, e anche nel venerdì sera fiorentino non si parla d'altro. I nomi che senti risuonare nell'aria sono sempre gli stessi: Prandelli, Della Valle, Abete. Una vicenda, quella del tecnico gigliato, che riporta alla memoria altri tempi, altre partenze, altri addii. E questo spunto che riceviamo e volentieri pubblichiamo ce lo conferma. Cesare come Roberto. Se non proprio nelle dinamiche delle vicende, quanto meno sotto il profilo del rapporto con la città. Con Roberto e Cesare, Firenze, ha stretto un legame indissolubile perchè rappresentavano quel che Firenze vuole e vorrebbe essere. Nel calcio e non solo.

Tutto cominciò un giorno di primavera, con una finale di Coppa Uefa da giocare contro i rivali di sempre. Un momento che tutti aspettavano come un appuntamento col destino. Come quel riscatto nei confronti della fortuna che tutti sentivano in qualche modo dovuto. Ciò che sfuggiva, è che da lì a pochi giorni avremmo vissuto l’inizio di un periodo senza precedenti, un’altalena continua di emozioni e delusioni degna della più impressionante delle montagne russe. Un periodo che iniziò con la sconfitta in quella finale e, soprattutto, con la perdita di un campione di livello mondiale come Roberto Baggio. Tutti quelli che a quel tempo avevano almeno 10 anni, ancora oggi sentono vivi i sentimenti di quelle giornate. La rabbia, certamente, ma soprattutto la delusione, il dispiacere vero, il senso di aver perso qualcosa di unico, molto più di un giocatore. Ci venne portato via qualcosa di nostro, un rapporto che niente aveva a che fare con lo sport: Roberto era il nostro ragazzo, la nostra speranza di un futuro da protagonisti, era una promessa per Firenze, ancor prima che per il calcio e lo sport.

Roberto rappresentava il nostro orgoglio: era così che volevamo essere. Pieno di talento, con una voglia matta di crescere e sfondare, e quello stile, non solo sul campo, rappresentava perfettamente le aspirazioni, ciò che avremmo voluto essere. In pochi hanno saputo dare un nome a questo sentimento, che si è poi perso sotto le contestazioni, nella rabbia che ha accompagnato quell’addio così improvviso. Oggi quei giorni sembrano davvero vicini, poco conta cosa sia successo nei vent’anni appena trascorsi. Il sentimento che lega Firenze a Prandelli è certo qualcosa di diverso da allora, ma Cesare e Roberto hanno per Firenze molte cose in comune.

A Cesare Firenze s'è affezionata, come uomo prima che come Mister, di Cesare abbiamo condiviso le ambizioni, i successi in viola, i momenti più difficili. Cesare rappresenta, di nuovo, la proiezione di ciò che Firenze vorrebbe essere: lo stile, i toni decisi ma sempre controllati, la voglia di stupire e la capacità di farlo, con mezzi infinitamente inferiori agli avversari che cerchiamo di battere. Differentemente da Roberto, con Cesare abbiamo avuto la fortuna di passare 5 anni importanti, e di dimostrare nei fatti quanto pronti eravamo a quella maturazione. Firenze si è specchiata nella nuova Fiorentina e ha dimostrato di sapersi elevare oltre ogni aspettativa.
Merito dei Della Valle, certo, ma anche merito suo.

I fiorentini sono ormai abituati a tutto, e ancora una volta si dimostreranno pronti a ripartire con volti e progetti nuovi, ma non vorremmo in alcun modo, nel rumore che accompagnerà i prossimi giorni, che si perdesse come 20 anni fa la forza e la ragione del sentimento di Firenze per Cesare Prandelli. Per questo, come vecchi nostalgici, culliamo ancora la speranza che questa volta si scriva un finale diverso. Ciò che è certo, oggi come allora, è che se Cesare tornerà al Franchi, quando raccoglierà quella sciarpa da terra, saremo di nuovo lì, a piangere di commozione come quando eravamo bambini.