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SCIOPERI E MILIONI

di Tommaso Loreto

Il limite è sottile, quasi invisibile. Fra la perplessità e la comprensione di fronte allo sciopero indetto dall'Assocalciatori, ci passa però praticamente di tutto. E volendo provare a restringere quel concetto totalitario, operazione di per sè impraticabile, altro non resterebbe che provare a spendere la parola realtà. O meglio, il riferimento alla realtà. In una sorta di richiamo al massimo realismo. Per tutta una serie di fattori che forse solo superficialmente possono apparire qualunquisti.

Il prologo, infondo, ha l'obiettivo di comunicare più una sensazione che non un vero e proprio giudizio. Perchè, davvero, in questo caso risulta difficile anche mettersi nei panni del calciatore oppresso dalla società di turno. Per di più trattato alla stregua di un oggetto. Per carità, il quadro della situazione attuale in Italia, dalla Lega Pro in giù, è roba da mettersi le mani nei capelli. Ed è più che comprensibile capire chi, fra calciatori di diverse categorie, abbia realmente di che rivendicare.

Ma, al tempo stesso, è inevitabile ritrovarsi in panni assai difficili da vestire. Basta cimentarsi nel capire il perchè un professionista di Serie A debba, o possa, decidere di scioperare. Certo, il pensiero nasce immediato. Di fronte a stipendi fuori dal comune, corrisposti a fronte di una professione che di fatto resta un gioco, immaginare che il calcio possa raccontare di uno sciopero fa davvero effetto. E allora, forse, quel limite sottile fra la perplessità e la comprensione resta una sorta di porta aperta. Una cosa, però, è certa. Se è vero che del pallone italico non si finisce mai di vedere nuove facce, evidentemente, adesso ci aspetta un nuovo, inedito, capitolo.