SERGIO BUSO, L'ULTIMO SALUTO
Di certo era una persona per bene, dentro e fuori dal campo, e nel calcio di oggi è già qualcosa. E forse, proprio per non disturbare, per non dare troppo nell'occhio, se n'è andato alla vigilia di Natale, quando tutti sono distratti, intenti a festeggiare. Sergio Buso ci ha lasciato a soli 61 anni (era nato a padova il 3 aprile del 1950) stroncato da una grave forma di leucemia. Ieri a Taranto, città nella quale viveva, si sono svolti i funerali alla presenza di Ulivieri e Donadoni, due persone che lo hanno vissuto ed apprezzato più di altri. Sergio Buso faceva il portiere, alto e dinoccolato, l'arte di stare tra i pali era quella che lo interessava di più. Non di meno era un gran conoscitore di calcio (il presidente Gazzoni Frascara del Bologna lo definì la "treccani del calcio" per le sue conoscenze tattiche e statistiche). Tra i pali, però, era un'altra cosa: in carriera Sergio Buso aveva vinto una coppa Italia col Bologna nel '74, aveva ottenuto una promozione in serie A col Pisa nel 1982, aveva fatto parte della nazionale under 23. Un portiere sopra la media, insomma, fino a diventare un preparatore dei portieri...sopra la media. Come tecnico forse non gli è stato dato il tempo di lavorare con calma, spesso fagocitato dalla frenesia...della vita moderna. Come accadde a Firenze, quando all'ottava giornata del campionato 2004-2005 rilevò Emiliano Mondonico (del quale era vice-allenatore) esordendo a Reggio Calabria con una vittoria per 2-1. Lui, così schivo ed introverso, apparentemente triste, al gol decisivo di Miccoli (era l'87!) esultò come non era uso fare. Ma una vittoria in zona Cesarini, per di più sulla panchina della Fiorentina, valeva bene uno strappo alla regola. Poi ci fu il 4-0 interno col Lecce, quindi il pareggio con l'Inter, e già lì si parlò di Buso-mania. La Fiorentina giocava bene, il suo era un 4-4-2 con Riganò e Miccoli di punta (Nakata e Portillo le alternative), supportati da Obodo, Maresca, Jorgensen ed Ariatti a centrocampo. La successiva sconfitta (onorevole) con la Juve tolse qualche certezza, ancora due pareggi con Livorno e Messina per allungare il brodo, la vittoria col Bologna a riportare il sereno. Poi, il patatrack: il 12 dicembre arriva lo 0-6 di San Siro col Milan, la famosa (ed inutile) "gabbia" di Piangerelli su Kakà, l'umiliazione, lo sconforto dei tifosi, le critiche che piovvero impietose. Fu in quel momento che Sergio Buso capì di essere capitato in un mondo più grande di lui, quantomeno diverso dal suo, abituato da sempre a tirare sù giovani portieri, a costruire giovani uomini. Sette giorni dopo un'altra vittoria col Chievo, ma ormai il giocattolo si era rotto: nelle successive quattro partite arriveranno tre sconfitte ed un pareggio (a Brescia, di sabato pomeriggio, valeva una sconfitta...) fino all'esonero definitivo dopo un 1-2 casalingo contro la Roma. Dalla domenica dopo, a Cagliari, sulla panchina viola siederà Dino Zoff che, accompagnato dai suoi "cattivi pensieri", concluderà una stagione disgraziata.
In chiusura un aneddoto: lo chiamavano Buster Keaton, per la somiglianza fisica con il celebre attore americano. Buster Keaton era un divo del cinema muto degli anni '30, ed anche in questo Buso gli somigliava (taciturno, di poche parole...) Buster Keaton era attore ma anche comico, un comico però dall'espressione stralunata e triste, ed in questo il gancio con Sergio è perfetto. Firenzeviola.it ricorda Sergio Buso così, e lo saluta con discrezione, senza enfasi, senza squilli di tromba...un pò come era lui.