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TEMPO PERSO

di Tommaso Loreto

In principio fu la Mercafir. Erano i tempi in cui un investitore straniero si era presentato alla città rilevandone la società calcistica, i cui concetti rivolti al “fast fast fast” non potevano lasciare indifferenti. Di quei primi intenti alla fine andati perduti non ha più parlato il presidente della Fiorentina Rocco Commisso, anche perché di fatto è stato in breve orientato verso altri orizzonti. Si diceva che il Franchi dovesse rimanere la casa della Fiorentina, nonostante le pecche attuali ma in linea con un valore artistico imprescindibile. 

Un duplice obbligo dettato anche dal rischio dell’abbandono, della morte naturale di un’opera scalfita dal tempo, sul quale Commisso è stato portato a riflettere più o meno mentre l’intero mondo politico si celebrava per l'emendamento sbloccastadi. Tutte le forze in campo per favorire la rinascita del sistema calcio anche attraverso quella degli impianti, si diceva, tutti insieme per regalare a Firenze finalmente uno stadio all’altezza, moderno, all’avanguardia e in grado di regalare una fruizione dello spettacolo che all’estero è normalità (da anni). 

Fin qui le premesse, ieri rivelatesi fragili come le speranze di un iter che potesse avviarsi senza troppi intoppi. Quasi si trattasse della naturale fine, scontata, di qualsiasi proposta innovativa relativa a questa città e più in generale a questo paese. E’ lungo questa strada, al netto di qualche uscita viola forse troppo diretta ma pur sempre equivalente al coro di voci levate in difesa del Franchi (in precedenza mai sentite), che la Fiorentina e Commisso si erano affrettati a chiedere cosa potessero e cosa non potessero fare su uno stadio che ogni giorno di più mostra la sua inadeguatezza. 

Ancor prima di leggere le motivazioni tecniche arrivate da Roma e fornite dal MIBACT, e alla luce del capitolo chiuso rivendicato dal club, vien da chiedersi a che pro sia stata persa la bellezza di 18 mesi per ritrovarsi al punto di partenza e sprecare l’occasione e la sfida lanciata da un imprenditore straniero determinato come pochi altri (il centro sportivo ne è la dimostrazione). 

Se l’importanza della questione stadio non è mai stata nascosta dalla proprietà viola, tutti gli altri interlocutori si sono limitati ad ascoltare, sorridere, ammiccare, per poi rimandare pareri definitivi su interventi bollati in breve come troppo radicali. Fino a una decisione, quella di ieri, nemmeno così dissimile dai paletti imposti dalla Soprintendenza quando tutto il dibattito si aprì. Una carta pescata dal mazzo nella quale l’invito non è altro che quello di ricominciare da zero. E così se c’è da comprendere l’amarezza che in queste ore deve pervadere l’animo di Commisso, resta giusto la speranza che il suo carattere combattivo emerso in questo anno e mezzo non venga meno. 

E che in un modo o nell’altro Commisso riesca comunque a superare un vero e proprio muro di gomma, tipico del belpaese, che ancora si frappone dinanzi a un passaggio che invece parrebbe naturale. Osservando lo stato attuale del Franchi, gli esempi stranieri, le posizioni del pianeta calcio che non a caso ha voluto schierarsi al fianco del numero 1 viola con l’intervento del presidente Dal Pino, o più semplicemente riflettendo sulle condizioni avvilenti cui sono obbligati i tifosi che andavano allo stadio e che, di certo, quando torneranno troveranno condizioni ancora peggiori. L’augurio insomma è che piuttosto che sventolare bandiera bianca il presidente decida di ribattere ancora, come se in campo ci fosse da replicare al forcing avversario o a una svista arbitrale. 

Quanto al resto, allo stadio e al suo destino, sperando che qualcuno si prenda - in fretta - la briga di valutare come, quanto e quando intervenire (perchè farlo è necessario) vien da pensare che almeno da Roma si è avuto il buon gusto di non fornire il conto finale di quanto Commisso avrebbe dovuto spendere per sostenere interventi imposti da un terzo soggetto chiamato politica. Chissà se anche chi ha messo certi paletti ha provato un pizzico di vergogna di fronte allo stop imposto a un’operazione che in primis avrebbe cambiato la città e i sogni dei suoi appassionati di calcio.