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TUTTI IMPUNITI

di Tommaso Loreto

A freddo, il giorno dopo è tutto più chiaro. Sbigottimento e disgusto lasciano spazio soprattutto alla rabbia. Perchè il giorno dopo è anche il giorno in cui emergono i dettagli e le ricostruzioni si fanno più nitide. E allora, tanto per cominciare, ti accorgi che chi ieri ha sparato a Roma si era già manifestato nelle vesti dell'ultras che decide il come, quando e perchè di una partita. "Gastone" - così è soprannominato Daniele De Santis identificato come l'autore degli spari che hanno quasi ucciso Ciro Esposito - era del resto in campo all'Olimpico di Roma quando il derby del 2004 fu fermato per la notizia (fortunatamente falsa) di un bambino morto fuori dallo stadio. E già 8 anni prima si era messo in luce in una trasferta a Brescia finita in guerriglia.

Niente di così diverso se rapportato al curriculum penale di Gennaro De Tommaso al secolo Genny a'carogna, già salito alla ribalta mediatica in occasione di una recente trasferta in Champions a Londra contro l'Arsenal. Anche in quella circostanza, per inciso, Genny rubò svariati primi piani a quanto poi avvenne in campo finendo sui tabloid inglesi. Ma in fondo, il giorno dopo, è anche quello solitamente dedicato ai facili moralismi e alle analisi dei precedenti. Come quelli, per dirne una, che nel passato hanno comunque visto protagonista la capitale.

La stessa città che si organizza a ricevere fiorentini e napoletani sistemandoli ai lati opposti, ma sbagliati, della metropoli. Chi arrivava da sud in Curva Nord, chi da nord in Curva Sud. Probabilmente, così si è detto, per diretta intercessione della tifoseria giallorossa che non gradiva ospitare il Napoli a casa propria. Uno stadio risultato completamente impreparato a quanto accaduto, inerme di fronte a controlli inesistenti vista la quantità di razzi e bombe carta.

La conseguenza è stata un'organizzazione dell'ordine pubblico, precaria, fin troppo libertina. I cui risultati, poi, si sono prima concretizzati in uno scontro drammatico a soli tre chilometri dallo stadio, poi in qualche ulteriore tafferuglio lungo i ponti della zona, infine nel summit organizzato su due piedi allo stadio. Incontro, quest'ultimo, che lo stesso Questore di Roma ha preferito minimizzare, con uscite per lo meno discutibili sulla presunta bontà della scelta presa in 45 minuti di caos, mentre nessuno si peritava di informare gli altri 70 mila spettatori.

Il giorno dopo, è anche quello che racconta gli altri punti di vista. Quelli per esempio arrivati dall'interno della tifoseria viola. Prima invitata a non tifare dai dirigenti viola costretti a fare buon viso di fronte a cattivo gioco, poi costretta al tono dimesso con metodi più diretti dagli stessi tifosi viola (reduci da presunti accordi con i napoletani), infine libera di dimostrare l'assoluta civiltà di non raccogliere le provocazioni a fine gara e andarsene. Le testimonianze sui social, su questo, si sprecano. Un percorso di situazioni e posizioni paradossali, tutte al contrario, difficili persino da capire.

Ma tutte con la stessa, consueta, tipica impostazione italiana dell'impunità e della ripetizione destinata ad avere nuovi capitoli in futuro. L'impunità dei personaggi che, pur già conosciuti, continuano a girare tranquillamente a piede libero e la ripetizione di situazioni che col calcio non hanno niente a che fare. Ma che, come nel caso dei fischi di uno stadio intero all'inno nazionale, testimoniano semplicemente la condizione allo sbando di uno stato che non solo osserva impotente come accaduto ai suoi rappresentanti in tribuna a Roma, ma che non si sa più cosa ci stia a fare.