.

VLAHOVIC, I 4 anni viola: gesti, cucchiai e silenzi

di Alessandro Di Nardo

12 aprile 2019, a Torino si gioca il ritorno della finale di Coppa Italia Primavera ed un diciannovenne serbo decide di calciare un rigore decisivo con un cucchiaio che supera il portiere dei granata. In quel gesto c’è ben racchiuso molto di Dusan Vlahovic: spavalderia, incoscienza, fiducia ed un'incredibile teatralità nei gesti,  tutto quanto mostrato in tre anni e mezzo di Fiorentina che, per coincidenza o circolarità del percorso, si sono chiusi con un altro cucchiaio, stavolta a Sirigu nell’ultimo Fiorentina-Genoa, dall’esito diverso. Il Dusan Vlahovic di Firenze è stato questo: un giocatore ricoperto di responsabilità che sembravano forse esagerate per un classe 2000 e che invece ha dimostrato grande qualità prima che tecniche caratteriali.

La storia d’amore e odio tra una piazza che si è vista ancora una volta sedotta ed abbandonata da un giovane talento è scorsa soprattutto su alcuni attimi e gesti, col senno di poi, fanno capire quante incomprensioni ci siano state tra Vlahovic e l’ambiente. Dal “quando offrono firmo”, ad un altro rigore (stavolta non calciato) contro il Cagliari, passando per le esultanze (le mani alle orecchie dopo il primo gol al Franchi contro l'Inter o il gesto della chiamata mimato dopo le ultime reti) , il serbo è sembrato voler dare messaggi più sul campo che nelle sedi societarie. L’ultimo segnale, quel gesto di scusa mimato dopo il gol col Genoa, riletto adesso più che una scusa per il rigore fallito sa di un congedo anticipato dell’attaccante davanti al suo pubblico. Le incomprensioni dell’ultimo periodo, il più pesante per tutti i protagonisti, sono state generate soprattutto dalla mancanza di dialogo, dalla cortina di ferro che si è generata da fine estate ad oggi tra gli uomini di Commisso e l’entourage di DV9.

 Questo passionale amore, scoccato con un altro tocco sotto -proprio alla Juventus, in una vittoria dei viola nel dicembre 2020, è durato circa un anno e si è consumato tra momenti di pace apparente a frecciate lanciate ai media dalle due parti, tutto condito da un rendimento sul campo in continua crescita da parte del giocatore: negli ultimi due anni Dusan Vlahovic è stato tanto presente sul campo quanto elusivo all’esterno, con dichiarazioni di fedeltà alla causa contraddette dai fatti a cui hanno fatto seguito silenzi assordanti dopo le domande sul suo futuro. Proprio la mancanza di comunicazione ed i gesti del fuoriclasse serbo sono forse stati l’origine di ansie e frustrazioni dei tifosi viola. Vlahovic è stato quindi sia bimbo prodigio che bimbo viziato, puntando i piedi per una soluzione di un rapporto inclinatosi pesantemente negli ultimi mesi. Nel frattempo però, scindendo sempre il lato sportivo da quello relazionale, è stato grande professionista, capace di svolgere il suo lavoro anche in una situazione a dir poco complicata. L’ormai ex numero nove saluta Firenze dopo quattro anni - i primi due a fare la spola tra Primavera e prima squadra- 108 partite e 49 gol, 33 dei quali solo da gennaio a dicembre 2021.

 Un rendimento mostruoso nell’ultimo anno che ha accresciuto ancora di più il desiderio di arrivare subito a competere in Europa, lasciando a metà la missione europea di Vincenzo Italiano. Trovatosi dentro un progetto tecnico basato sulla programmazione a medio-lungo termine, il classe 2000 è sembrato sentirsi già dalla scorsa estate troppo grande per questa realtà e non ha voluto aspettare, forzando una cessione poi diventata inevitabile ed auspicata anche da parte del club. Anche in questo caso Vlahovic ha dimostrato di avere la stessa faccia tosta avuta al momento di calciare i rigori. Da cucchiaio a cucchiaio: il primo col Torino, da esordiente, l’ultimo (sbagliato col Genoa), in mezzo quello calciato proprio alla Juventus. Dusan Vlahovic se ne va da Firenze lasciando rimpianti, rabbia e quel senso di beffa che è paragonabile a quello di vedere un pallone che, dopo un tocco sotto, si infila in porta, impossibile da fermare.