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Novantadue milioni e un’illusione: così sono naufragati Pradè e Pioli a Firenze

di Andrea Giannattasio

Dalle promesse altisonanti al silenzio di novembre. Alla Fiorentina l’estate dell’ambizione si è trasformata in pochi mesi nell’autunno più cupo degli ultimi anni, travolgendo due figure centrali come Daniele Pradè e Stefano Pioli, passati in fretta da architetti del rilancio a simboli di un fallimento sportivo senza appello. E pensare che tutto era cominciato sotto i migliori auspici. A fine maggio, appena incassate le dimissioni di Palladino, Pradè aveva individuato subito in Pioli l’uomo giusto: una scelta forte, perseguita con decisione nonostante il tecnico fosse legato all’Al Nassr da un contratto lungo e ricchissimo. La diplomazia viola aveva fatto il resto, liberando Pioli in tempo per iniziare il lavoro a luglio. Un segnale chiaro: la Fiorentina voleva alzare l’asticella.

Dai sogni al disastro
Il ritiro al Viola Park scorreva in un clima ideale. Restavano i big – De Gea, Kean, Gudmundsson, Comuzzo – arrivavano giovani di prospettiva, mentre il mercato toccava cifre mai viste: 92 milioni investiti per costruire una squadra competitiva. A rendere il tutto ancora più elettrico ci pensavano le parole dello stesso Pioli, che sfidava le grandi senza mezzi termini: «Ho visto che Allegri non ci ha inserito tra le squadre da Champions: l’ho scritto sulla lavagna dello spogliatoio» disse alla prima conferenza di presentazione. Poi, però, la realtà. Gli acquisti non rendono, il gioco non decolla, i risultati precipitano. La Fiorentina imbarca acqua da tutte le parti e perde certezze settimana dopo settimana. Fino a novembre, il mese che cambia volto al club di Commisso: il 1° arrivano le dimissioni di Pradè, alla vigilia di Fiorentina-Lecce; tre giorni dopo, il 4 novembre, l’esonero di Pioli. Dalle dichiarazioni ambiziose dell’estate al disastro d’autunno: in casa viola, il sogno è durato appena una stagione. Anzi, nemmeno quella.


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