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BAGGIO ALLA JUVE, FIRENZE SCENDE IN PIAZZA

di Stefano Borgi

Una guerra vera e propria. Qualcuno, con un pietoso eufemismo, la definì una "guerriglia" urbana, altri un semplice "moto" di piazza... Per noi fu un assurdo sfoggio d'inciviltà per il quale, da fiorentini, ci vergognamo tutt'oggi. E tutto per un giocatore di calcio. Il suo nome era Roberto Baggio, all'epoca il più forte calciatore del mondo, l'unico che sarebbe stato capace di offuscare il mito di Giancarlo Antognoni. Sarebbe bastato rimanere a Firenze e vestire la maglia viola. Roberto Baggio, invece, fece un'altra scelta, e per questo tutta Firenze scese in piazza. Eh già, perchè non bastarono i soliti noti a fare "casino", i cosiddetti ultras (nell'accezione più estrema del tifo), ma la sera del 18 maggio 1990 manifestarono anche i normali cittadini, per esserci, per dimostrare la loro amarezza nel veder andar via (a soli 23 anni, e per di più all'odiata Juventus) il gioiello, il loro pezzo più pregiato. Il contesto storico fu decisivo e fece da detonatore ad una situazione già esplosiva: poche ore prima la Fiorentina aveva disputato e perso la finale di coppa Uefa proprio contro i bianconeri. Si giocava ad Avellino (era la finale di ritorno) con lo stadio "Partenio" feudo bianconero scelto come sede casalinga per la Fiorentina dopo la squalifica del campo. La partita finì 0-0 e, sommato all'1-3 dell'andata (anche quello intriso di polemiche per l'arbitraggio dello spagnolo Soriano Aladren...tanto nomine), consegnò il trofeo ai "gobbi" gettando nello sconforto la tifoseria viola. Ero personalmente presente quella sera ad Avellino, e dopo il 90' assistetti a scene inenarrabili di straordinaria violenza, che certo non fecero onore alla storia ed alla cultura di Firenze. Ma tant'è... C'era un ultima speranza: che Roberto Baggio rifiutasse il trasferimento alla Juve, che restituisse alla gente la voglia di credere nel calcio, nell'attaccamento alla maglia, nei valori dell'etica e dello sport. Ma niente da fare, in quel caldissimo (in tutti i sensi) pomeriggio del 18 maggio Antonio Caliendo convocò una conferenza stampa in piazza Savonarola (nella sede della Fiorentina) ed ufficializzò il passaggio di Baggio alla Juventus. Costo dell'operazione, 11 miliardi di lire più la cessione a titolo definitivo di Renato Buso.

La guerra poteva così avere inizio. Fu una notte di scontri in città, con attacchi alla polizia e lanci di molotov, e gli ultrà che tornavano continuamente alla carica in nuovi punti, mentre risuonavano le ambulanze e il traffico impazziva. Tutto era cominciato alle sei e mezzo della sera, in P.zza Savonarola c'erano quasi 500 persone tra tifosi e curiosi. Alle parole di Claudio Pontello: "la nostra famiglia resterà sempre al comando della società", scoppiò il finimondo. E tutto questo solo per un giocatore di calcio. Prima urla, cori, lancio di monetine verso il palazzo. Paura, confusione, parapiglia, la folla che si ritira. La città è sconvolta dalle sirene, ormai è guerriglia da metropoli. Vengono divelti e usati pezzi di cartelli stradali, cinghie, catene con lucchetti. Intanto la gente dalle case e affacciata alle finestre sembra solidarizzare con i ragazzi, con chi lotta in nome di Baggio. L'avvocato Claudio Pontello riuscirà a lasciare la sede solo alle otto di sera, ben nascosto in un cellulare. Poi la guerra si sposta in piazza Donatello, trecentocinquanta tra poliziotti e carabinieri a difesa di una porzione di viali, la piazza dove abita il conte Flavio Pontello. Insieme agli ultras ci sono ragazzi normali, signori col cappello, signore col golfino sulle spalle, ragazze della porta accanto. Estranei al calcio, ma non alla città, perchè anche la gente cosiddetta civile partecipava, si sentiva defraudata di un tesoro, che si chiamava Roberto Baggio. E tutto questo solo per un giocatore di calcio.

C'è da dire che, al tempo, la tifoseria viola era ben diversa da quella di oggi: cruda, violenta, irriconoscibile. Il momento più buio si era vissuto circa un anno prima (esattamente il 18 giugno 1989) quando fu incendiato un treno proveniente da Bologna, e rimase ustionato tale Ivan Dall'olio, ignaro tifoso rossoblù, colpito da una bomba molotov lanciata alla stazione di Rifredi. La sommossa sui viali segnò un altro spartiacque, una netta linea di demarcazione con tanti esponenti delle frange più estreme che furono presi, identificati e messi dentro. Ahimè, negli scontri furono coinvolte anche persone che non c'entravano niente, mosse solo dalla curiosità e che solo l'imprudenza aveva spinto in un gioco più grande di loro. Anch'esse, vite rovinate, macchiate per sempre. E tutto questo, solo e soltanto per un giocatore di calcio.