"STORIE DI CALCIO", QUATTRO MINUTI PER ENTRARE NELLA... LEGGENDA (Video)
Per i tifosi viola, sono più famosi dei sei minuti di Rivera a Mexico '70. Sono i 4 minuti (ebbene sì, solo 4 minuti...) che Mario Faccenda impiegò, il 1° novembre 1989, per farsi buttar fuori dal signor Soriano Aladren in quel di Sochaux. Attenzione però, non è record: l'espulsione più veloce della storia, infatti, avvenne dopo appena 2 secondi dal fischio d'inizio (successe nel 2000 in una partita del campionato scozzese), e addirittura Leo Messi fu allontanato dopo soli 40 secondi per una gomitata all'avversario in un'Argentina-Ungheria del 2005. I viola poi (questo sì che è un record) subirono due espulsioni in otto minuti il 6 febbraio 2005 durante Sampdoria-Fiorentina, nella notte dei "cattivi pensieri". Ma quei quattro minuti non si dimenticano facilmente. Torniamo, quindi, a Mario Faccenda: era il ritorno dei sedicesimi di finale della coppa Uefa '89-'90, risultato dell'andata 0-0 tra Fiorentina e Sochaux sul neutro di Perugia, ed in pochi credevano all'impresa dei viola. Ed invece impresa fu, nonostante l'espulsione di Mario Faccenda che, con una violenza inusitata (e ci consenta, con imperdonabile e colpevole ingenuità) si abbattè sul centrocampista francese Lucas falciandolo senza pietà. Arbitrava lo spagnolo Soriano Aladren che (ahinoi) reincontreremo nella finale di Torino contro la Juventus.
Ma andiamo con ordine. Mario Faccenda era un calciatore di grande temperamento, di una tecnica approssimativa, dotato di buon anticipo e stacco di testa. Per tutti era... "la leggenda". Ad onor del vero abbiamo sempre pensato che il famoso coro fosse più irridente che altro, quasi sarcastico per un giocatore umile, dalle possibilità limitate, ancorchè pugnace e volenteroso. Molto giocò a suo favore l'assonanza fonetica dell'inno col suo cognome (Faccenda-leggenda) tanto da farne scaturire... "Alcuni lo chiamano Mario, altri lo chiaman Faccenda, noi lo chiamiam leggenda, noi lo chiamiam leggenda". Ora, capirete che le vere leggende sono altre, e quel 1° novembre (ad esempio) due di loro (Baggio e Dunga) erano in campo e lottavano per un traguardo alla vigilia insperato. A maggior ragione dopo lo scellerato intervento del centrale di Latina. E chissà cos'avrà pensato la splendida moglie di Mario, tra l'altro francese di nascita, che nelle loro quattro mura dalle parti di Coverciano sarà sobbalzata davanti a tanta impulsività e dabbenaggine. Sochaux-Fiorentina, dunque, comincia praticamente 11 contro 10 per i francesi, con i viola che sembrano però non darsene per inteso: dapprima due incursioni del "divin codino", quindi una traversa di Celeste Pin (colpo di testa su ennesimo invito di Baggio) fino al 32', quando Dunga sventaglia da sinistra a destra ancora per Roberto. Pregevole controllo col destro e cross radente per l'accorrente Buso che di sinistro batte implacabile Rousset. Sochaux-Fiorentina 0-1. Il gol avvenne proprio sotto ai 5000 tifosi viola che si riversarono sulle reti di recinzione in preda al delirio collettivo. Il centravanti, futuro mister della Primavera viola, farà il resto correndo impazzito verso di loro, aggrappandosi a quel che rimaneva della rete. Passano 4 minuti e, su azione di calcio d'angolo, Laurey pareggerà le sorti del match con un destro da appena dentro l'area. I restanti 54 minuti saranno battaglia vera, con i viola che non cederanno di un passo, fino al triplice fischio finale che sancirà il passaggio del turno. Tutto questo nonostante gli 86 minuti trascorsi in inferiorità numerica.
Perchè abbiamo ricordato quella che fu davvero un impresa (a parte il corso e ricorso storico del 1° novembre, ovviamente...) una delle tante di quella coppa Uefa perduta sul filo di lana? Perchè quella Fiorentina era il prototipo della squadra operaia che lottava col coltello tra i denti dovunque andasse, qualunque squadra affrontasse. Quella squadra, fatta eccezione per Baggio, Dunga e Di Chiara, schierava gente come Pioli, Volpecina, Celeste Pin, Battistini, Nappi, Buso, Iachini... la classe operaia che va in Paradiso, la volontà, il sacrificio, il carattere, la personalità che vengono fuori in prossimità del traguardo, quasi per incanto, quasi per forza d'inerzia. O più probabilmente per l'attaccamente alla maglia, alla professione, per il piacere di entrare a far parte della storia della Fiorentina. Non ce ne vogliano i giocatori attuali, non ce ne voglia Sinisa MIhajlovic, ma oggi tutto questo è stato perduto, dimenticato, e chissà che queste righe, queste foto, queste immagini non possano servire a qualcosa. Almeno noi ci proviamo...